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Nails

2017
Titolo Originale:
Nails
REGIA:
Dennis Bartok
CAST:
Shauna Macdonald (Dana Milgrom)
Leah McNamara (Gemma Milgrom)
Ross Noble (Trevor Helms)

Il nostro giudizio

Nails è un film del 2017, diretto da Dennis Bartok

C’è roba. Come disse il medico, picchiettando il ventre di Mastro Don Gesualdo. Sì, c’è roba, in Nails, “Unghie”, diretto da un tizio che non ci si deve vergognare di non conoscere. Almeno finora, perché da adesso in avanti il discorso cambia. E il nome dello sceneggiatore-regista di Pittsbourgh, Dennis Bartok, bisogna appuntarselo. Dunque: c’è roba. E c’è Shauna Macdonald, la superstite di The Descent, che è una madre di famiglia salutista di ferro. Al mattino si sveglia inzeppandosi di vitamine, prima di uscire a correre. Ma siccome lo sport e il regimen sanitatis stretto fanno, notoriamente, malissimo, la nostra signora finisce investita da un pirata della strada, che se ne va lasciandola sull’asfalto con il cranio mezzo sfondato. Ma non è morta. La riprendiamo in un letto di ospedale: gambe spezzate,  metà faccia tipo Wallenstein, un braccio distrutto e inchiodato e un buco nella trachea per il respiratore (dal momento che le è successo qualcosa che non ho bene afferrato ai polmoni). Però è vigile, cosciente, vede quel che ha intorno e anche se non riesce a parlare, comunica tramite un computer con un programma vocale: quel che digita su una tastierina con la mano indenne, il computer lo formula con voce femminile. Possibile? Non ne ho idea, ma chi se ne frega: lo accettiamo. Così come accettiamo che in questo ospedale-convalescenziario sembri non esserci nessuno, a parte una direttrice virago, un infermiere comprensivo e un medico anziano coi capelli lunghi e bianchi, che si siede accanto al letto della paziente nel cuore della notte.

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La donna, che si chiama Dana, ha un marito (Steve Wall) e una figlia (Leah McNamara), che come prima cosa quando la va a trovare le smalta le unghie delle mani di azzurro. Ma, venendo al nocciolo della questione: Dana si accorge presto che in quella stanza dell’ospedale dove è confinata, sola, circondata dai macchinari che la sostengono, si nasconde “l’altro”. Qualcosa che percepisce nel dormiveglia e che viene fuori, come il più classico dei boogeyman, da una porta di legno che dà su uno sgabuzzino, in quel suo reclusorio forzato. Il “mostro” che lei vede e che anche noi vediamo – va dichiarato subito – non è il massimo come look: un esserone grigio che a volere essere clementi potrebbe ricordare lo Zweick calcificato dell’Aldilà. Ma molto Si parva licet. Dana è nella morsa di questo essere, che pare sempre lì lì per ammazzarla. Nessuno le crede: piazzano persino delle telecamere nella stanza, ma quel che registrano è la povera donna che lotta con l’aria. Lo vede solo lei, quindi. Ma chi è? Che cosa è?Dana si mette con la mano buona a fare ricerche in Rete e scopre che questo fantasma persecutore è quello di un certo Eric Nilsson (Richard Foster-King), un infermiere che è passato per quell’ospedale, anni prima, e ha fatto una strage di bimbi ricoverati – le motivazioni le scoprirete voi –, ai quali era solito tagliare le unghie e conservarle dentro delle bustine…

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In Nails, a questo punto, devono succedere ancora tante cose e deve arrivare un finale che compensa pienamente la parziale farraginosità della storia. Diciamo solo che Dana, come tutti quelli che sono morti e risorti, ha dotazioni extrasensoriali particolari. E diciamo che il film trova un buon punto d’appoggio per sollevarsi, nel momento in cui la Macdonald (che è fior di attrice, ma lo sapevamo già) si allea alla figlia per combattere il fantasma (non ho detto per vincerlo…), mentre il marito che pareva tanto amoroso si scopre – forse – un puttaniere. Se sentite necessario pensare per questo a Babadook eccetera, liberissimi, ma non è così inevitabile e Nails non ha la faccia di quella linea tematica lì. Siccome Bartok è intelligente – non per niente è venuto fuori dal ventre della regista d’avanguardia e artista concettuale LeAnn Bartok – gioca tutto, o moltissimo, sulla sua attrice protagonista, rispetto alla quale il resto diventa funzione. E il coté paranormale, tutto sommato, è meno interessante che seguire gli sforzi di Dana per tentare di schiodarsi dal suo giaciglio forzato e rendersi indipendente (a un certo punto, si strappa il tubo dalla gola e torna a respirare da sola). Comunque, non c’è niente di ecumenico o consolatorio, in Nails. Il che rende la carne di questo salmone ben più sapida di quella degli altri che peschiamo a decine ogni giorno nei torrenti noti.