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MPD Psycho

2000
Titolo Originale:
Tajuu jinkaku tantei saiko - Amamiya Kazuhiko no kikan
REGIA:
Takashi Miike
CAST:
Naoki Hosaka (Kazuhiko Amamiya/Yôsuke Kobayashi/Shinji Nishizono)
Tomoko Nakajima (Machi Isono)
Ren Osugi (Tooru Sasayama)

Il nostro giudizio

MPD Psycho è una serie tv del 2000, diretta da Takashi Miike.

Truce, grottesco fino a rasentare l’insensatezza, psichedelico e paradossale, MPD Psycho rispecchia perfettamente l’indole creativa del suo regista, il contorto e geniale Takashi Miike. La mini-serie di sei episodi del 2000, creata per la televisione giapponese, è liberamente tratta dall’omonimo – e altrettanto intricato e crudo – manga del 1997, di Eiji Otsuka e Sho-u Tajima, in venti numeri, di cui riprende e concentra la trama, tanto da essere spesso oscura nello svolgimento e nella identificazione dei personaggi e delle vicende. Volutamente sconvolgente, MPD (Multi Personality Detective) Psyco, è uno dei molti lavori di Miike tratti da un fumetto (impossibile trascurare nella lista Ichi the Killer), ma questa è la prima volta che l’autore, insieme a Eiji Otsuka, ne scrive in prima persona l’adattamento per il piccolo schermo. Si tratta, tuttavia, di un’ispirazione libera e molte sono le differenze, a partire dal finale chiuso nella serie, al contrario del manga.

La narrazione è incentrata su Yôsuke Kobayashi, ossia il suddetto MPD che, sconvolto dalla morte della fidanzata incinta, sviluppa una seconda personalità, il profiler Kazuhiko Amamiya, e uccide l’assassino di lei, Shinji Nishizono (nel film antecedente, ma nel fumetto, più verosimile a livello psicologico, successiva al traumatico evento). Dopo un congedo dalla polizia, in cui il protagonista, tornato Kobayashi, si dedica alla floricultura con una nuova compagna (nell’originale cartaceo è invece condannato a scontare una detenzione), questi è richiamato in servizio dal suo precedente capo, Tooru Sasayama, per le indagini su un nuovo serial killer, che pianta fiori nei crani delle vittime. Intanto anche il passato sembra riaffiorare quando un assassino riprende il modus operandi di Nishizono, squarciando il ventre di donne in dolce attesa e rubando i loro neonati. A rendere la trama sempre più contorta, dilagano gli omicidi nei licei giapponesi, il folle Hisashi Shimazu fa a pezzi i corpi e li usa in un macabro bingo e Tokyo è sconvolta da inspiegabili combustioni spontanee. Sembra accomunare gli assurdi eventi e la follia omicida un misterioso codice a barre nell’occhio degli individui coinvolti, mentre l’origine del fenomeno parrebbe legata al progetto P-Net Plan e all’americano Lucy Monostone, rock star, terrorista e sedicente capo di una setta, i cui seguaci erano contraddistinti dal medesimo segno. Il suddetto marchio distintivo, di cui è portatore anche Nishizono, risulta essere una sorta di portale attraverso il quale è possibile per alcuni individui insediarsi negli altrui corpi, risvegliandone la pulsione omicida.

Decisamente involute, la struttura e la differenziazione dei personaggi di MPD Psycho risultano piuttosto complesse, se non altro per le plurime personalità che si insediano via via nei diversi interpreti sulla scena: un solo soggetto infatti si presenta sotto numerose vesti fisiche e allo stesso tempo un corpo può racchiudere in sé differenti individualità (primo tra tutti l’attore Naoki Osaka che interpreta in sincrono Kobayashi, Amamiya e alla fine Nishizono). Una profonda sensazione di straniamento si diffonde allora dalla psiche dei singoli non solo ai loro simili, seguendo una dinamica che oscilla tra schizofrenia e una sorta possessione-trasmigrazione, ma anche alla realtà circostante, dando vita a inserzioni visive disturbanti (tra cui la pioggia verde elettronica, creata digitalmente, e gli inserti di anime), che distorcono l’immagine video e insieme un vissuto alienato. Si perviene così a un’estetica al limite del surrealismo (che in qualche modo ricorda I segreti di Twin Peaks) tra una paradossale e scabrosa bellezza, come nei crani scoperchiati in cui è piantata un’orchidea, e proiezioni mentali psichedeliche, quali una spiaggia cosparsa di computer Mac colorati. Tali caratteri iconici, tutt’altro che immotivati, sono inseriti in una coerente strutturazione del comparto visivo, come materializzazione della crisi della personalità del protagonista e degli altri intorno a lui. L’assenza di senso di appartenenza e smarrimento a livello geografico ed esistenziale, tema già trattato da Miike (si veda ad esempio Bird People in China), tengono qui l’essenza dell’individuo, le radici stesse (emblematico è il fatto che Kobayashi, Amamiya e Nishizono siano orfani). Perfino l’estrema violenza, come la malattia mentale, divengono propagazione di un malessere originato nell’infanzia, persino antecedente ad essa, nella stirpe genetica, a cui è annesso un destino prestabilito. Estremamente affascinante, truce e dalle qualità visive uniche, MPD Psycho risulta imperdibile per gli amanti di Miike.