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MotherFatherSon

2020
REGIA:
James Kent, Charles Sturridge
CAST:
Richard Gere (Max Finch)
Helen McCrory (Kathryn Villiers)
Billy Howle (Caden Finch)

Il nostro giudizio

MotherFatherSon è una serie tv del 2020, ideata da Tom Rob Smith.

La tv fin dai suoi esordi ha sempre proposto ai suoi spettatori serie che molto spesso provenivano dall’America. MotherFatherSon è invece una serie inglese con protagonista Richard Gere, star del cinema che aveva lavorato in tv solo per un ruolo minore nel telefilm Kojak del 1976. La sceneggiatura lo ha attirato, ha affermato Gere in un’intervista, e lo possiamo ben comprendere, vista l’ottima trama di questo show targato BBC. C’è da dire però che le premesse rosee del primo episodio non vengono mantenute per tutta la durata della serie, e di certo al giro di boa della quinta si comincia a fare davvero fatica a seguire le vicende presenti e passate della famiglia Finch, composta appunto dai Mother FatherSon del titolo e che, come ogni buona famiglia che si rispetti, non può non nascondere drammi. Il patriarca Max Finch è un magnate dei media che viaggia su jet privato, una specie di Berlusconi rivisitato e corretto in salsa britannica: un uomo che ha saputo guardare lontano conquistando un potere mediatico enorme. Max, come da cliché, vive in un palazzo di vetro da miliardi di dollari, sede dei suoi affari, in cui suo figlio Caden (Billy Howle) dirige un giornale. Fin dal primo episodio ci vengano presentati a raffica tutti i personaggi e gli intrighi della vicenda. Apprendiamo così che qualcuno è scomparso, che  Max non è un santo, che suo figlio pratica jogging come un matto ma poi si fa di coca. Dopo altri cinque minuti, una giornalista veterano lascia la redazione prima che Max vada a trovare il ​​primo ministro britannico passando attraverso la porta sul retro. Nota a margine: il Primo Ministro è nero, ed è questo uno degli elementi che nella sua verosimiglianza, per il fatto di non essersi mai ancora verificato nella storia, conferisce al racconto una nota quasi distopica.

Intanto la ex moglie di Max (Helen Mc Crory), ricchissima ereditiera, distribuisce cibo ai bisognosi e inizia una relazione con un senzatetto, mentre un uomo che ascolta messaggi telefonici inerenti la persona scomparsa viene assassinato con un fil di ferro. Tutto è in ordine, ma anche tutto confuso. Nei dieci minuti successivi arriva la calma, per non dire la noia. Figlio e madre Finch si incontrano per pranzo in un’atmosfera rigida e passano in rassegna alcune foto del passato: capiamo così che Caden, il figlio, ha molto sofferto della separazione dei genitori in seguito alla quale è stato affidato al padre, senza che nessuno comprendesse il suo bisogno costante della figura materna. Così Caden, in un giorno di ordinaria frustrazione, in seguito ad un mix potente di alcol e droga, ha un grave malore che lo porta dritto in sala operatoria per un intervento al cervello che viene mostrato in maniera molto esplicita. E se da un lato la trama ruota attorno a Richard Gere, che alla fine sembra davvero perfetto nel suo ruolo tutto nervi, è importante che lo spettatore non distolga lo sguardo da Billy Howle. Il giovane non deve solo interpretare un bastardo tossicodipendente, ma anche una persona colpita da un ictus nel pieno della sua vita, martoriata da paralisi e disturbi del linguaggio, che si sveglia con una  forza di ferro e che, come novità della vita, ha un amore non proprio ricambiato e deve imparare a confessare al mondo la sua inquietante storia personale. Un fardello enorme che richiede le massime prestazioni. È fastidioso, sì, infatti, è estremamente fastidioso che sia difficile capirlo in convalescenza a causa della sua paralisi parziale della parola. Ma questo fa anche parte del ruolo esigente e allo stesso tempo una trovata per  ripensare il proprio atteggiamento nei confronti dei disabili.

Senza dubbio, le prestazioni di Howle forniscono il miglior motivo per guardare la serie fino alla fine. Senza tralasciare un altro elemento importante che è la capacità, di questo dramma familiare, di riuscire a rappresentare le inevitabili interferenze che si innescano tra i membri di una famiglia e di quanto talvolta alcune di esse lasciano il segno a vita. In questo senso, l’episodio flashback quasi surreale in cui viene raccontata tutta la storia di Max, della sua infanzia e gioventù, è molto emblematico. Come pure è molto ben riuscita la grafica della sigla iniziale, in cui sezioni di foto dei tre protagonisti si intersecano dando luogo a nuovi mix di volti, dove i lineamenti dell’uno entrano in gioco con quelli degli altri due creando espressioni a spesso sofferte e aggressive, che ricalcano le caratteristiche dei personaggi. Una serie che pur perdendo in parte la sua scorrevolezza con il proseguire delle puntate, riesce a mantenere il suo fascino puntando su alcuni spezzoni ben riusciti in ciascun episodio e su un livello di recitazione al di sopra della media televisiva.