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Mosul

2019
REGIA:
Matthew Michael Carnahan
CAST:
Adam Bessa (Kawa)
Suhail Dabbach (Jasem)
Ishaq Elias (Waleed)

Il nostro giudizio

Mosul è unn film del 2019, diretto da Matthew Michael Carnahan.

Il cinema di guerra è forse il genere cinematografico che più di ogni altro si fa specchio dell’epoca in cui viene prodotto, riflettendo spesso i conflitti bellici della contemporaneità, le ideologie e le contraddizioni. Certo, voler delimitare un confine preciso ai war-movie – come, del resto, a ogni tipo di cinema – va stretto come il mitologico Letto di Procuste, eppure il discorso ha una logica: così come gli anni Settanta e la contestazione sociale furono il terreno fertile per trattare le ferite ancora aperte del conflitto in Vietnam, il cinema bellico post 11 settembre si è frequentemente dedicato alla messa in scena delle nuove guerre – l’invasione americana in Iraq e in Afghanistan, il terrorismo islamico, i conflitti in Medio Oriente. Ed è in tale contesto che va inserito Mosul di Matthew Michael Carnahan, distribuito su Netflix e passato un po’ in sordina, ma che avrebbe meritato una distribuzione maggiore e un’attenzione più capillare da parte della critica. Il debutto alla regia di Carnahan è un fulmine a ciel sereno nella mediocrità della piattaforma streaming, è un film con gli attributi sia nella messa in scena spettacolare sia nei messaggi che è in grado di trasmettere, risultando forse uno dei migliori war-movie visti negli ultimi anni. Nelle nuove guerre degli anni Duemila si sono cimentati in questi decenni registi più celebri e talentuosi di Carnahan – basti pensare ad American Sniper di Clint Eastwood e al dittico di Kathryn Bigelow, The Hurt Locker e Zero Dark Thirty – ma Mosul è un unicum, non solo perché interpretato esclusivamente da attori arabi, ma anche perché guarda la realtà da un punto di vista differente: non più gli americani contro gli integralisti islamici, ma una sorta di guerra civile interna al mondo arabo. Senza voler addentrarsi troppo nei gangli della Storia, i fatti sono in sostanza questi: nel 2014 la città di Mosul, in Iraq, cadde in mano all’Isis (da quelle parti, nota come Daesh), e negli anni successivi le milizie locali – le cosiddette Swat, composte per lo più da ex poliziotti – ingaggiarono una sanguinosa battaglia per strappare la città ai terroristi, una battaglia che si protrasse dal 2016 al 2017, quando Mosul fu riconquistata dalle forze irachene.

Lo stesso Carnahan scrive soggetto e sceneggiatura, basandosi su un articolo del The New Yorker: ambienta la vicenda durante le ultime fasi della battaglia, mentre l’esercito del Califfato si stava ritirando sotto i colpi degli iracheni, e segue in particolare la storia di alcuni miliziani appartenenti al team Swat Niniveh, il nucleo più agguerrito nella lotta ai terroristi. Kawa (Adam Bessa) è un giovane poliziotto che insieme a un collega ha arrestato alcuni terroristi, trafficanti in armi e droga: assediati in un edificio nel corso di una sparatoria, vengono salvati dalla Swat comandata da Jasem (Suhail Dabbach), che dopo la diffidenza iniziale decide di arruolare il ragazzo. Kawa si trova così ad affrontare un battesimo del fuoco particolarmente rovente, unendosi al gruppo in una non meglio precisata missione che li costringe ad attraversare tutta la città, ridotta ormai a un cumulo di macerie. Mentre assistono agli orrori della guerra, i miliziani devono fronteggiare i ripetuti attacchi da parte dei membri dell’Isis, ma anche oltrepassare i posti di blocco istituiti dall’esercito regolare, con il quale non corre buon sangue, difendersi dai traditori e confrontarsi con alcuni soldati iraniani. Matthew Michael Carnahan, da parte sua, non è nuovo alla tematica delle guerre 2.0, avendo sceneggiato film come The Kingdom e Leoni per agnelli; così come non sono nuovi al genere i produttori di Mosul, i fratelli Anthony e Joe Russo, registi specializzati in grosse produzioni (sono autori di vari cinecomic ma anche di Cherry, incentrato sui traumi di un reduce dall’Iraq) e che garantiscono anche qua un apparato produttivo di alto livello, indispensabile per fare un film d’azione come si deve. Mosul è un film di guerra rivoluzionario, poiché vede un regista americano cimentarsi (con risultati egregi) in una guerra vista dalla prospettiva degli islamici; è rivoluzionario perché non mette in scena soldati contro altri soldati, ma milizie paramilitari contro terroristi; ed è rivoluzionario perché, un po’ come facevano i film sul Vietnam negli anni Settanta, supera ogni retorica, ogni celebrazione eroica alla American Sniper, concentrandosi al contrario sugli aspetti più sporchi e brutali della guerra.

E fa tutto questo senza rinunciare alla componente spettacolare, che anzi è una parte preponderante del film, grazie a una coreografia delle sparatorie particolarmente accurata, con dettagli su armi, spari (tutti veri, non in CGI) ed equipaggiamenti. Girato quasi interamente con la camera a mano che segue freneticamente le azioni dei combattenti, con una fotografia satura che esalta i colori delle armi e del sangue, montato in modo sincopato e quasi senza l’ausilio della musica (ridotta ai minimi termini), Mosul è diretto come un kolossal hollywoodiano, ma ripulito da quella logica pro-militaresca che spesso caratterizza i war-movie made in USA. È davvero mirabile come la regia di Carnahan riesca a coniugare la presa spettacolare ed emotiva con una rappresentazione cruda della guerra, che si fa foriera di riflessioni non banali: al di là dell’ovvia e indicibile crudeltà dei terroristi, spicca il forte senso di fratellanza all’interno della Swat (dove i membri sono come fratelli e il comandante Jasem è come un padre), ma anche la necessità di fondare un nuovo Iraq senza Saddam né gli americani (pensiamo al pregnante dialogo fra Jasem e l’ufficiale iraniano), l’opposizione fra gli iracheni e i fanatici del Califfato, e la brutalità dei miliziani stessi, che devono saper essere violenti come i loro nemici. Mosul è un film che non concede un attimo di tregua, a partire dalla sparatoria iniziale, e proseguendo in combattimenti dove si fa uso di ogni arma: kalashnikov, pistole, mitragliatrici, granate, autobombe e droni esplosivi, mentre il gruppo si muove a bordo dei mezzi blindati in una spettrale Mosul devastata dalla guerra (città mirabilmente ricostruita in Marocco), e il giovane Kawa si fa le ossa in un mondo orrorifico e brutale.