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Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer

2022
Titolo Originale:
Dahmer - Monster: The Jeffrey Dahmer Story
REGIA:
Carl Franklin, Clement Virgo, Jennifer Lynch, Gregg Araki
CAST:
Evan Peters (Jeffrey Dahmer)
Richard Jenkins (Lionel Dahmer)
Molly Ringwald (Shari Dahmer)

Il nostro giudizio

Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è una serie tv del 2022, ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan.

È la fotografia (di Jason Mc Cormick e John T. Connor) a base di cupezze, ambienti claustrofobici e ossessive dominanti giallo-ocra a rendere i 10 episodi di Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer (Netflix) una partecipata quanto irrinunciabile e affascinante sofferenza per lo spettatore, sostituendo sangue e splatter con una negatività  emozionale e ambientale, ma anche sonora (musiche di Nick Cave e Warren Ellis!) e persino architettonica, legata agli spazi quasi carcerari dell’edifico popolare Oxford (poi abbattuto) di Milwaukee (Wisconsin), laddove, nell’appartamento 213, il biondino, gay e occhialuto, Jeff Dahmer, uccise, fra il 1978 e il 1991, diciassette ragazzi, si cibò di alcuni dei loro organi, facendoli saltare in padella conditi con olio e sale, e dove il cadaverico fetore dei resti umani,  conservati e cucinati nel suo loculo abitativo,  destò la nauseata, quanto inascoltata, reazione della vicina (che diviene altro personaggio analizzato nella serie) che, attraverso una grata comune, respirava i macabri effluvi. È l’ ennesima prova positiva di scrittore per Ryan Murphy (nelle serie, si sa, i registi contano poco e sono intercambiabili fra un episodio e l’altro). Murphy, gay dichiarato, fin ora le ha azzeccate tutte: da Nip/Tuck ad American  Crime Story a Pose a Hollywood, solo per citare alcuni fra i tanti serial, con la sola eccezione, cinematografica e registica, dell’indigeribile e folkloristico Mangia, prega, ama. E anche qui Murphy non si smentisce: scrive e produce, con altri autori, questa serie, già vincente, che ha conquistato il podio delle più viste su Netflix, ottenendo dal 21 settembre, giorno del lancio, 196,2 milioni di ore di visualizzazioni, pur affiancata da polemiche (la comunità LGBTQ ha criticato la piattaforma per aver inserito il proprio acronimo nella descrizione e il colosso di Los Gatos ha eliminato il tag). L’interprete di Jeffrey Dahmer, è il venticinquenne Evan Peters, già presente in altri lavori di Murphy, assente e silenzioso quanto basta, dai toni di voce bassi e (quasi mai) alterato.

La serie gioca molto sui flash-back: si va dall’infanzia di Jeff che il padre (uno strepitoso Richard Jenkins, veterano del cinema americano e già candidato all’Oscar per La forma dell’acqua di Guillermo del Toro), inizia al dissezionamento di pesci e procioni, operazione che influenzerà irrimediabilmente il piccolo Jeff (insieme con altri complessi fattori familiari come l’assenza della madre): Jeff vorrebbe masturbarsi come i coetanei guardando le ragazze nude sui giornaletti osé, ci prova, ma non ci riesce, e raggiunge l’orgasmo soltanto pensando alle viscere di animali, viscere che poi, crescendo, diverranno umane. Una parafilia incontenibile, una coazione a ripetere che lo porterà a uccidere 17 ragazzi e conservarne i resti in freezer in attesa di restare con loro per sempre, mangiandone alcune parti. La violenza scatta, infatti, in Jeff nel momento in cui lo sfortunato compagno di una notte, abbordato quasi sempre in una discoteca per gay, decide di andarsene («Volevo solo sdraiarmi con lui, abbracciarlo e non ci sono riuscito», dice ai poliziotti che lo interrogano dopo averlo catturato grazie alla fuga dell’ultima preda). Ed è proprio dall’arresto di Jeff che parte, a marcia indietro, la sua storia, con continui flash-back realizzati con rara competenza tecnica: alcune scene già viste nei primi episodi vengono addirittura riproposte nei successivi, magari con piccole differenze, per consentire allo spettatore di calarsi nuovamente in una situazione già vista precedentemente e forse dimenticata (pochi possono permettersi di seguire 10 episodi continuativamente…).

Va detto, poi, a merito di Murphy & C., che Jeffrey non è il solo personaggio centrale della serie: alla caratterizzazione del padre Lionel (Jenkins), ad esempio, vengono dedicate riprese e dettagli fino a renderlo il personaggio più triste dell’intera serie, con le sue camicie a scacchi a maniche corte e il riporto, un incolpevole genitore che vuole, a tutti i costi, trovare una propria colpa per essere il padre di un mostro. Il tutto viene infine inserito in un contesto storico-geografico ben definito, quello del Wisconsin degli anni 70-80, stato contadino dedito alla produzione di birra (di cui Jeffrey fa incetta…) dove l’esistenza quotidiana dei neri e degli immigrati asiatici (le cui storie legate agli omicidi vengono sviscerate – è proprio il caso di usare questa parola – con attenzione e acutezza) gode di scarsa considerazione… e se poi sono pure gay… Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer realizza infine, l’esecuzione per iniezione letale (nella serie non ci sono immagini di repertorio), di John Wayne Gacy, altro noto serial killer (di Chicago), detto “il clown”, giustiziato pochi giorni prima della morte di Dahmer, avvenuta in carcere per mano di un altro detenuto, Christopher Scarver, un nero fanatico religioso. Gacy concluse la propria esistenza con le parole «baciatemi il culo» proprio mentre Dahmer dava il via a un processo mediatico senza precedenti: il padre scrisse anche un libro con lo scopo di liberarsi del peso della sua presunta colpa e con l’intenzione di farne un film,  ipotizzando John Voight e Faye Dunaway come protagonisti. Non si fece mai.