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Monzón

2019
Titolo Originale:
Monzón
REGIA:
Jesús Braceras, Gabriel Nicoli
CAST:
Fabián Wolfrom (Alain Delon)
Celeste Cid (Susana Giménez)
Mariano Chiesa (Tito Lectoure)

Il nostro giudizio

Monzón è una serie tv del 2019, ideata da Pablo E. Bossi.

Da lustrascarpe a campione mondiale dei pesi medi per ben sette anni (dal ’70 al ’77). Al campione argentino Carlos Monzón è dedicata la serie omonima di Netflix, sottotitolo A Knockout Blow, più o meno “un colpo a eliminazione diretta”,  espressione che rimanda, oltre che alla sua potenza sul ring, anche alla vicenda personale che lo ha visto al centro di un caso giudiziario mediaticamente esplosivo: Monzón, infatti, la notte di San Valentino (ironia della sorte) del 1988, ormai quarantaseienne e fuori attività, uccide la ex moglie Alicia Muniz, lanciandola dal balcone di un appartamento affittato a La Florida di Mar del Plata. I due si erano rivisti per discutere degli alimenti del figlio Max e la serata era sembrata prendere una piega positiva, quasi riconciliante: una puntata al casinò, poi un tête-à-tête casalingo a base di tenerezze e whisky. Troppo whisky che trasforma un ex marito affettuoso in feroce pugile. Solo che Monzón non è sul ring e Carlos passa dalle dolcezze alla violenza più cieca con incredibile disinvoltura. Fino a che prevale quest’ultima e, dopo un ennesimo battibecco con l’ex moglie, completamente ubriaco, la afferra alla gola, la soffoca e la lancia dal balcone per simulare un incidente-suicidio (la foto in b/n mostrata nella fiction, di lei con indosso i soli slip, prona e con una gamba piegata, è quella originale della polizia). Infine, Carlos si lancia pure lui dal terrazzino, lussandosi una spalla (siamo solo al primo piano) per garantirsi una propria versione: “ho tentato di afferrarla, ma mi ha trascinato giù con lei”.

Questo, almeno, afferma l’accusa (e le due autopsie). Il pubblico ministero Parisi, però, non sa ancora in quale casino si è ficcato assumendo il caso. Il pugile, infatti, in Argentina (e non solo) è un vero mito popolare, tutti lo chiamano “campion”, soprattutto da quando, nel ’70, a Roma, ha battuto Nino Benvenuti, nella fiction ritratto un po’ più strafottente di quanto non fosse in realtà. Il pm è un duro, non guarda in faccia a nessuno, ma ha un tallone d’Achille: pur sposato, ha una relazione con la sua combattiva e abile segretaria, a causa della quale verrà ricattato dai procuratori più in alto di lui quando vorrà collegare “l’eroe nazionale” anche a un traffico di cocaina gestito da suoi amici e pusher disposti a coprirlo per i fatti di San Valentino: “lasci perdere, Parisi”, è la frase ricorrente. Ma lui non lascia perdere e verrà picchiato da un gruppo di incappucciati oltre che ingaggiare, nel proprio ufficio, una rissa da saloon con un poliziotto che gli aveva intimato di consegnargli gli atti del processo. Dall’altra parte, la difesa: l’avvocato di Monzón assume furbescamente una collega donna per il processo al pugile, ma scoprirà presto che l’affascinante Patricia, così si chiama l’avvocatessa, non è una bambolina da manovrare a piacimento.

Monzón si affida a un montaggio quasi perfetto, laddove i flash back si alternano sapientemente quanto rapidamente con le vicende dell’omicidio. Da quando Monzón bambino, un indio moscovì della provincia di San Javier, lucidava le scarpe ai passanti a quando assistette al suicidio del suo miglior amico dopo una sfida a cazzotti perduta con un prepotente della zona (che verrà poi sistemato per le feste da Carlos) e al suo matrimonio con la sorella di lui, Pelusa, dalla quale avrà due figli e che lascerà, una volta famoso, per l’attricetta uruguaiana Susana Gimenez con la quale gira un film prodotto solo in ragione della sua notorietà: La Mary (’74). Fino ai suoi incontri con i vip: Alain Delon lo idolatra e pare che Carlos abbia avuto relazioni-lampo anche con Nathalie Delon e Ursula Andress, ma queste non appaiono nella fiction). Molto realistiche le scene del pugile in carcere dove l’ambientino non è dei più socializzanti e dove, con la promessa (che non verrà mantenuta) da parte da un boss della prigione, di rivedere il figlio avuto da Alicia, sarà costretto ad accettare un sfida a cazzotti con un enorme indiano (che ovviamente sarà steso al suolo dopo pochi secondi). Infine, il processo, e qui si chiudonono i 13 episodi della serie.  Un cartiglio, prima dei titoli di coda, ricorda che Carlos verrà condannato a undici anni di detenzione, ne farà solo sette, grazie alla buona condotta e alle sue potenti amicizie, e otterrà anche la libertà vigilata. E che l’8 gennaio del ’95, rientrando in carcere in auto con un amico, sbandava, finiva fuori strada e moriva. Sembra corresse a 140 km l’ora. Aveva 52 anni. Serie violenta e altamente fedele alle vicende che violente furono davvero per tutta la vita del pugile, sul ring e nel privato. Perfetti gli attori, fra i quali Jorge Román, Mauricio Paniagua, Carla Quevedo, tutti argentini e a noi più o meno sconosciuti.