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Monsters of Man

2020
REGIA:
Mark Toia
CAST:
Jessica Blackmore (Fielding)
Kayli Tran (Tien)
Tatjana Marjanovic (Wendy)

Il nostro giudizio

Monsters of Man è un film del 2020, diretto da Mark Toia.

Il direct-to-video sarà pure un concetto superato nella sua accezione commerciale, ma l’attitudine dietro un certo genere di lavori resta la medesima: anche e soprattutto nell’era dello streaming e dell’addio al cinema come esperienza fisica. Parlando di Monsters of Man è inevitabile rispolverare il marchio dell’infamia (in realtà da tempo sdoganato) proprio di quei lavori ad ambizione zero, mirati a lucrare attraverso l’home video e i passaggi in tv. Oggi l’appellativo non è per forza un deterrente, e anzi gli schermi casalinghi come unico terreno di vita e morte è la realtà di prodotti anche più ambiziosi. Il film di Mark Toia si pone allora nel solco dell’exploitation low budget di scuola action, consapevole di contare su talenti e su un capitale di partenza (aiutato dal crowdfunding) che  non avrebbe certo potuto permettersi senza la variabile produttiva della circolazione online. Come ogni lavoro di questo tipo, il film prende quindi le sue mosse da un singolo high concept peraltro non esattamente geniale (doppio omaggio incrociato a Schwarzenegger con una sorta di crossover tra Predator e Terminator), assemblando però il proprio plot per accumulo, agganciandosi tentacolare a svariati quanto pretestuosi spunti offerti dal suo assunto.

E’ un film di robot assassini governativi, e di agenti segreti incaricati di testarne le potenzialità distruttive; di controllo cyber e guerriglia di droni, di corruzione militare e civili tirati in mezzo. Fino all’inevitabile rivolta delle macchine nella giungla asiatica, con tanto di caccia all’uomo e svolta survival. Tutto giusto, in teoria. In pratica, Monsters of Man è un lavoro piuttosto fuori fuoco, con problemi a monte riconducibili superficialmente a questioni di editing e, più in profondità, ad una sballata concezione della stessa categoria commerciale. E’ un dtv che non sa di esserlo, e il risultato lo porta ad indulgere in ambizioni di racconto e rappresentazione che non gli competono. Hybris registica in grado di seppellire le migliori intenzioni; non esiste un solo motivo al mondo per cui il film di Toia debba durare quasi 140 minuti. Non è né un’epica su larga scala alla Cameron, né un low-budget “letterario” alla Zahler, per citare i pochissimi che abbiano trovato la maniera di estendere l’action oltre i suoi limiti standard. Nella sua esagerata bulimia di scene e sequenze, pare più che altro di trovarsi davanti un film senza tagli, non prodotto e lasciato in mano ad un regista debuttante troppo innamorato della sua opera prima per saperla ricollocare alla giusta sfera di importanza.

Monsters of Man soffre quindi una certa incontinenza cinematografica, che porta la sua microscopica idea (il cuore del film è il carnaio dei suoi androidi impazziti, non certo gli agganci complottisti che cerca a più riprese) a diluirsi in una quantità di scene e personaggi cui una produzione più attenta avrebbe probabilmente messo mano già in fase di ideazione. Per film di questo tipo, un tempo destinati alla circolazione in vhs e dvd a noleggio, sarebbe impensabile spingersi oltre l’ora e mezza credits inclusi; la certezza a prescindere della distribuzione garantita dallo streaming ha forse privato il film di una linea editoriale precisa, risolvendosi in un brodo statico e senza centro. Le conseguenze di questo lassismo si riflettono inevitabilmente anche sul tono complessivo; l’approccio di Toia balla costantemente tra l’avventura PG e l’action duro, la satira di grana grossa e lo splatter survivalistico, Spielberg e Verhoeven in chiave minore e le idee poco chiare. Un bipolarismo ondivago che sul piano della messa in scena (quello che per questo tipo di prodotti dovrebbe essere l’unico piano) ha più il sapore dell’indecisione che dell’entusiasmo. Non lo aiuta la pochezza tanto del cast “umano”, quanto di quello che dovrebbe esserne il vero protagonista: il robot governativo gone rogue e assetato di sangue, design fiacco sulla scia delle cose già viste in Blomkamp dieci anni fa. A conti fatti, il film diventa una maratona a tratti divertente e nel complesso estenuante, che non mostra quanto potrebbe, e non colpisce quanto vorrebbe. L’opposto di un prodotto che avrebbe dovuto lasciare il segno con il minimo dell’investimento.