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Monochrome

2016
Titolo Originale:
Monochrome
REGIA:
Thomas Lawes
CAST:
Cosmo Jarvis (Gabriel Lenard)
Amy Ambrose (Jess)
Lee Boardman (Agente Walcott)

Il nostro giudizio

Monochrome è un film del 2016, diretto da Thomas Lawes.

Una cosa è certa: Thomas Lawes è un cineasta di poche parole e di altrettanti pochi film. Ma quando apre bocca o batte un ciak è perché qualcosa di sensato da dire (e soprattutto da filmare) ce l’ha per davvero. Rimasto a digiuno per quasi vent’anni, dopo l’ottimo esordio di Demagogue (1998), il regista indie anglosassone ha finalmente interrotto il silenzio cinematografico con l’interessante Monochrome, progetto sicuramente viziato, almeno in parte, da un supporto produttivo del tutto inadeguato, ma concepito e confezionato con tutti i sacri crismi del caso, capace di non sfigurare affatto nel confronto con opere coeve di natura tanto “di punta” quanto ”di tacco”. Elaborato a partire da suggestioni narrative che affondano pesantemente le radici nel thriller di matrice psicologica al limite del sovrannaturale – sul modello di In Dreams (1999) per intenderci –, il film vede come protagonista il timido e intelligentissimo detective Gabriel Lenard (Cosmo Jarvis), ingaggiato da una sezione speciale dei servizi segreti britannici che intende sfruttare le sue incredibili capacità sinestetiche per dare la caccia alla giovane e spietata Jess (Amy Ambrose), assassina seriale di riccastri senza scrupoli datasi alla macchia. Combattendo contro l’inesorabile passare del tempo, il brillante investigatore dovrà dare fondo a tutte le proprie speciali qualità per fermare la catena di omicidi e consegnare alla giustizia la letale colpevole.

Va detto fin da subito che, con risorse un poco più sostanziose e un direttore della fotografia un tantino più esperto dello stesso regista, Monochrome avrebbe sicuramente innalzato di parecchio il già ottimo livello globale, potendo finalmente ergersi al di fuori del paludoso terreno delle produzioni (spesso) impropriamente etichettate come “mediocri” e conquistarsi un posto d’onore nel mercato che conta. Purtroppo ciò non è stato, ma poco importa alla fine, poiché il carisma e la passione che Lawes dimostra paiono più che sufficienti a far apprezzare un prodotto degno quantomeno di un’attenta e seriosa occhiata. Non solo, infatti, l’espediente di una detection basata su facoltà percettive al limite fra scienza e paranormale riesce decisamente a sollecitare il palato spettatoriale – nonostante il latente olezzo di déjà vu –, ma anche la caratterizzazione complessiva dei personaggi messi in gioco si dimostra ben strutturata e vincente, a cominciare dallo stesso protagonista, un giovane e alquanto inesperto tutore della legge a metà strada fra l’autismo “geniale” di un Detecive Monk (e suoi innumerevoli padri nobili di celluloide) e i superpoteri di un qualunque eroe minore della mitologia Marvel/DC.

Leggermente più problematica appare invece la questione relativa alla giovane serial killer – le cui motivazioni, a cavallo fra la filosofia di Robin Hood e quella di Karl Marx, sarebbero tanto piaciute a certo cinema politico italiano degli anni ’70 –, personaggio centrale dell’intera vicenda purtroppo manchevole di un adeguato spessore psicologico e di una solida perfomance attoriale. Ok, non tutte possono essere sadiche e fuori di melone al pari di Ellen Page in Hard Candy, direte voi, ma un minimo di sforzo in più andava fatto, almeno per non somigliare troppo a un’assassina improvvisata della domenica pomeriggio. Tranquillo e beato nel proprio modesto recinto, sicuro e al riparo da qualunque velleità autoriale di sorta, Monochrome è quanto di più sincero e onesto il panorama semi-indipendente contemporaneo ha da offrici, specchio di un cineasta abituato, come si sul dire, a fare tutto da solo e con i mezzi tecnico-produttivi a propria disposizione, senza tuttavia soffrire di alcun complesso d’inferiorità e dimostrando di saper fare più che egregiamente il proprio mestiere. Suvvia, allora: diamogliele pure queste tre stellette, poiché se le è davvero meritate!