Featured Image

Mona Lisa and the Blood Moon

2021
REGIA:
Ana Lily Amirpour
CAST:
Jeon Jong-seo (Mona Lisa Lee)
Kate Hudson (Bonnie Belle)
Craig Robinson (agente Harold)

Il nostro giudizio

Mona Lisa and the Blood Moon è un film del 2021, diretto da Ana Lily Amirpour.

A Girl Walks (Home?) Alone at Night. Non è un vampiro femminista iraniano ma la fuggitiva di un ospedale psichiatrico di massima sicurezza. Nessuno sa da dove venga. È stata zitta per dieci anni a fissare le pareti della sua cella imbottita, poi ha detto “basta” in una goduriosa sequenza gore. Come la Matilda di Dahl, la Carrie di King/De Palma, gli Scanners dell’omonimo film di Cronenberg o gli X-Men, Mona Lisa Lee è dotata di bizzarri e pericolosi poteri psionici. Se si concentra può far fare alla gente tutto quello che vuole. Ma esattamente cos’è che vuole? New Orleans. Dalla mistica speciale che accompagna queste due parole, così poco pronunciate eppure così importanti per capire l’America, si dipartono tutti i sentieri battuti dal terzo film di Ana Lily Amirpour – che affila i denti, ancor più della sua Vampira Senza Nome in skateboard, e sembra sempre più pronta a prendersi un posto fra i Big. Mona Lisa and the Blood Moon inizia incorniciando le paludi notturne e limacciose del bayou, l’aria piena del gracidìo delle rane.

New Orleans, per prima cosa, significa southern gothic. Un sotto-genere, anzi un non-genere dalle mille declinazioni. Horror, fiaba, parabola sociale, tutto confuso nel flusso ipnotico delle acque del Mississippi. La città del jazz. Del Vudù (Mona è forse una strega? L’incarnazione di un Loa? In ogni caso meglio non farla arrabbiare). Del Mardi Gras, carnevale dove tratti somatici, colori, vestiti si fondono. Del melting pot. Città-Babele. Città-Mondo. Amirpour, regista diasporica e cosmopolita per diritto di nascita, ne esplora le contraddizioni, il mors tua vita mea contrapposto al calore umano, il bizzarro che fa innamorare. Ne viene fuori un carosello irresistibile, che allinea le molte anime della città e che in un certo senso riprende il discorso interrotto dal Jarmusch di Daunbailò (una cella a New Orleans) e Mistery Train – Martedì notte a Memphis (l’asian coinvolto/estraniato dal Profondo Sud).

Laddove il Dracula di Akron, cercava nei luoghi natali di jazz, blues e rock n’ roll le radici artistiche e identitarie della società multirazziale americana, Amirpour – lover left alive altrettanto imbevuta di cultura pop ma decisamente meno aristocratica – racconta quarant’anni dopo luoghi diversi eppure identici di conflitto e integrazione, prende nota di evoluzioni sartoriali e musicali (l’estetica neon dei club e le sonorità trap come nuove iterazioni di maschere e riti archetipici) e di un’agenda politica in repentina evoluzione, dai fantasmi del genocidio indiano (Dead Man) alle tragedie ancora fin troppo attuali dello sfruttamento sessuale. Dietro tutto questo si nasconde un racconto morale che più classico non si può sul diverso, il mostro, il freak come voce morale fuori dal coro, capace di riscuotere coscienze e ricongiungere famiglie allo sfascio. Viene in mente tanta fantascienza, da Ultimatum alla terra a E.T., ma anche le cautionary tales di cui brulica la letteratura americana delle origini, ondivaga e saggia come i battellieri del grande fiume. Pensate a Lama tagliente (1996) di e con Billy Bob Thornton, neo-noir faulkneriano su un Frankenstein moderno che esce anche lì da un istituto psichiatrico, incontra una madre e un figlio e scopre di avere una missione nella vita, e non sarete lontani. Vecchio e nuovo a braccetto.