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Mimì – Il principe delle tenebre

2023
Titolo Originale:
Mimì - Il principe delle tenebre
REGIA:
Brando De Sica
CAST:
Domenico Cuomo (Mimì)
Sara Ciocca (Carmilla)
Mimmo Borrelli (Nando)

Il nostro giudizio

Mimì – Il principe delle tenebre è un film del 2023, diretto da Brando De Sica

The new face of Naples, titolava uno dei pezzi portanti della colonna sonora di Con la rabbia agli occhi, eccelso noir di Margheriti con Yul Brinner, girato all’ombra del Vesuvio nel lontano 1976. La nuova faccia di Napoli mi piace, come meditazione iniziale su cui introdurre Mimì – Il principe delle tenebre, ultimo anello della catena nel lignaggio di film che sono sbarcati nella città di Partenope per raccontare vicende nere. Vedi Napoli e poi muori, compendia, nell’antico detto, la filosofia di quella sorta di nuovo genere che ha rielaborato, tra il porto di Mergellina e i casermoni di Scampia, il legato dei camorra-movies, attualizzandolo e ibridandolo sempre più con le desunzioni del reale, da Gomorra in su. Vedi Napoli e poi crepa… con un bel proiettile in testa. L’eccentricità del lungometraggio di Brando De Sica, che pure un po’ si spinge nei territori e sacrifica sugli altari di questo neo-noir, consiste, tuttavia, nel fatto di proporsi, ontologicamente come un horror. Il genere, a Napoli, scannerizzando con mente rapida la tradizione, non mi pare abbia mai figliato, forse perché città considerata antitetica, tra o sole, o mare e tutta la coloristica locale connessa, al lugubre di marca più fantastica e meno terragna. Sebbene a Napoli gli assist offerti da una sinistra tradizione occulta ed esoterica non manchino, a cominciare, tanto per dirne una, dalla figura del Principe di San Severo e da tutti i misteri & segreti alchemici che attorno gli ruotano. In Mimì viene disseppellito – letterale – un altro bell’enigma connesso al sepolcro di un altro grande Principe che avrebbe trovato il proprio giaciglio finale (?) all’interno del chiostro minore del convento di Santa Maria la Nova, presso l’omonima chiesa di Napoli. Stiamo parlando del Principe delle Tenebre lui-même, di colui che la penna di Bram Stocker ha eternato, rielaborando la figura di Vlad III di Valacchia Hagyak, nel suo romanzo Dracula.

De Sica parte concreto, sebbene la forma subito riveli una pulsione all’immaginifico, presentando Mimi (Domenico Cuomo) mentre si tuffa in un abisso di acque iridescenti. È, costui, un giovane pizzaiolo napoletano, un puro d’aspetto e di anima, afflitto da una forma di acromegalia ai piedi. Porta il segno di queste estremità difformi, e come tutti i segnati, è ludibrio e oggetto di burla, anche feroce e violenta, da parte della marmaglia di rito, che qui è rappresentata dal milieu di un cantante neomelodico, Bastianello (Giuseppe Brunetti), figlio di un boss che sta crepando dentro un polmone d’acciaio e che ci viene presentato come un succedaneo di Helena Markos, in una delle infinite schegge citazioniste che De Sica spara in ogni direzione nel suo film, da cultore e orrorofilo doc qual è. L’idea è di portare il candido Mimì (orfano, accudito dal buon Mimmo Borrelli, che gli ha insegnato a sfornare pizze, e dalla materna e permutante Abril Zamora) a conoscere l’amore grazie a Carmilla (Sara Ciocca), una ragazzina goth, che si accompagna al giro dell’infame Bastianello e per la quale, ricambiato, il nostro perde ‘a capa, giungendo persino a farsi limare i canini, onde assumere sembiante vampiresco: perché Carmilla è convinta di discendere dalla schiatta del Conte Dracula in persona. Il che introduce al midollo propriamente orrorifico della faccenda, che prende forza nella seconda parte del film, quando la leggenda della conservazione del corpo del Signore dei succhiasangue in un sepolcreto partenopeo, si manifesta come tutt’altro che una favola. Mimì viene vampirizzato dal Nosferatu di Murnau, entra in coma e, al risveglio, scopre che la sua natura è diventata quella di un sine vita vivens, sine morte mortuus. Così, armato di queste sovrannaturali dotazioni, egli parte alla ricerca dell’amato bene, di Carmilla, lasciandosi dietro un percorso di sangue che da Napoli lo condurrà a Codogno, da dove la ragazzina, minorenne, era scappata di casa e dove ora è stata ricondotta.

Le psicologie dei due protagonisti hanno il non piccolo merito di rendere i personaggi di Cuomo e della Ciocca molto veri e possibili, innestando la lezione neorealista (che è bene familiare e nel dna di De Sica) in un tessuto di grotteschi & arabeschi non sempre così imprevedibili (Bastianazzo e i suoi accoliti, il tatuatore che sistema i denti a Mimì). Buona è la trovata di inventarsi un videotecaro che funge da Virgilio per Mimì tra i misteri del vampirismo cinematografico e i guanti di sfida che il regista lancia di continuo ai cinefili horror-compulsivi perché acchiappino la vasta semina di riferimenti al genere e ai suoi capisaldi, prevede anche una bagarre stradale, macchinone vs Ape guidata da Cuomo, sul tappeto sonoro di Quei giorni insieme a te dal Paperino di Fulci. Ma è quando Mimì passa a riprendersi ciò che è suo, dopo avere menato grande strage in un concerto di Bastianazzo, che De Sica fa sfoderare al film artigli ultra-efferati, prendendo in contropiede e a santificanti calci in bocca il cinema e il pubblico del bon ton. E anche solo per questo meriterebbe una laurea honoris causa in crudeltà applicata, con nostro sommo gaudio, ovviamente. Difatti, la coglioneria sotto vuoto spinto di certa critica lo stigmatizza proprio in tale ragione di potenza, a maggior riprova che questo è un centro pieno. Sceneggiato dal regista con Ugo Chiti e Irene Pollini Giolai e giunto finalmente ad essere dopo lunghi anni di gestazione e di rimandi, Mimì – Il principe delle Tenebre si aggiunge e allo stesso tempo svetta su quel gruppuscolo di film italiani che ultimamente hanno dato l’impressione di aprire un nuovo fronte nell’horror, oltretutto senza avere sulle spalle il macigno di Tantalo di una natura derivativa.