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Mektoub, My Love: Intermezzo

2019
Titolo Originale:
Mektoub, My Love: Intermezzo
REGIA:
Abdellatif Kechiche
CAST:
Shaïn Boumedine (Amin)
Ophélie Bau (Ophélie)
Salim Kechiouche (Tony)

Il nostro giudizio

Mektoub, My Love: Intermezzo è un film del 2019, diretto da Abdellatif Kechiche.

Mektoub è uno stato della mente dal quale Abdellatif Kechiche sembra non sapere e non volere uscire. Una dimensione nella quale fare pace col passato e raccontare l’ossessione per lo spiare, per il gusto voyeuristico all’origine del suo cinema. Se il primo capitolo Mektoub, My Love: canto uno aveva  a che fare più con l’eredità del suo trascorso di giovane emigrato tunisino, in questo “intermezzo” di 3 ore e 30 in attesa del canto secondo, Kechiche sente il bisogno di spiegare questa ossessione nei confronti della “cosa vista”. Un ossessione che, nel caso del regista di La vita di Adele, non può che coincidere con la visione del sesso e della sessualità. Il protagonista (se così si può dire), Amin (Shaïn Boumedine), che poi sarebbe Kechiche stesso, resta ancor più sullo sfondo che nel primo episodio; intento a contemplare quello che succede nella discoteca dove parenti e amici si scatenano. Il suo è un guardare senza giudicare.

Il piacere di osservare un campionario più o meno variegato di gioventù messa in ballo e di culi shakerati. In Mektoub, My Love: Intermezzo emerge, prepotente, la fascinazione per l’alcolica promiscuità, il sudore odoroso, l’eccitazione palpabile che si consuma nel ballo, nello strusciarsi gli uni con gli altri, nel far vibrare le parti molli del corpo (ovviamente femminile), traendono godimento  attraverso la visione impudica della carne. Non accade altro in questo intermezzo. Si rimane chiusi nella discoteca per un tempo che sembra infinito ma che potrebbe durare per sempre, ipnotizzati dal ripetersi di rituali banali ma allo stesso tempo ammalianti. Con la musica del dj a fare da colonna sonora e i pochi dialoghi buttatti lì un po’ a caso come di consueto accade nella vita reale. Nel ricercare questa realtà Kechiche dirige il film più sperimentale di Cannes. Un’onda lenta, costante, infinita (che per qualche assurda raggione non annoia); spezzata solo da quell’esplicito e violento cunnilingus pensato in origine di 35 minuti (ma sfortunamente ridotto a soli 14) che, pur non essendo la cosa più importante del film, deflagra all’improvviso negli occhi dello spettatore voyeur rendendolo di nuovo complice-colpevole del Kechciche pensiero.