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Mary Shelley – Un amore immortale

2017
Titolo Originale:
Mary Shelley
REGIA:
Haifaa Al-Mansour
CAST:
Elle Fanning (Mary Shelley)
Douglas Booth (Percy Shelley)
Tom Sturridge (Lord Byron)

Il nostro giudizio

Mary Shelley – Un amore immortale è un film del 2017, diretto da Haifaa Al-Mansour.

Due ore di Mary e Percy che bisticciano, si lasciano, si riprendono, si tradiscono e, quando gli avanza tempo tra tutte le loro schermaglie amorose, scrivono perché si annoiano. Questo è il biopic dedicato a Mary Shelley e diretto da Haifaa Al-Mansour, che al suo secondo film, ci ammorba con un drammone romantico senza alcun ritmo e struttura narrativa, ma capace di giustiziare in un colpo solo oltre duecento anni di critica letteraria, arrivando alla conclusione che Mary (Elle Fanning) scrisse il suo Frankenstein perché risentita dalle numerose corna ricevute da Percy (Douglas Booth). Proprio quando eravamo convinti di esserci liberati dalle pastoie del paranormal romance, ecco che arriva nel 2018, del tutto fuori tempo massimo, un film che ci riporta indietro di almeno dieci anni sulla tabella di marcia cinematografica: avete presente quelle storie in cui adolescenti insicure, un po’ imbranate e non del tutto sveglie si innamorano del bel tenebroso di turno, che le tratta come spazzatura, però in fin dei conti è così talentuoso, dolce e sensibile e tormentato che gli si perdona tutto? Ecco, trasferite questa situazione nel 1814 e avrete Mary Shelley, il pastrocchio indigeribile che non fa certo un gran servizio a una delle scrittrici più lette nella storia della narrativa, quella che in pratica si è inventata la fantascienza.

Non si tratta poi di un vero e proprio biopic, perché Mary Shelley – Un amore immortale copre un arco di tempo che va dal primo incontro di Mary con Percy fino alla pubblicazione del Frankenstein, avvenuta nel 1818, e quindi si svolge tutto in funzione della storia tra i due; una scelta come un’altra, sulla carta anche non del tutto balorda, in quanto è sempre meglio restringere il campo, onde evitare la dispersione di molti film biografici. Viene da dire che sia molto difficile sbagliare, quando hai a che fare con una come Mary Shelley, che scappa di casa con un poeta (sposato!) all’età di 16 anni, gira per tutta l’Europa, sfida ogni tipo di convenzione possibile e immaginabile, fregandosene dello scandalo che ne sarebbe derivato, si mette in rotta di collisione con l’adorato padre più per un fatto di principio che per amore e, ad appena 18 anni, scrive una robetta senza importanza come il Frankenstein.

E invece no, Al-Mansour sbaglia tutto: la caratterizzazione di ogni singolo personaggio, che risponde ai più triti cliché lasciatici in eredità da una concezione distorta e semplificata al massimo del Romanticismo; i dialoghi (di cui è parzialmente responsabile), che sembrano usciti da un manualetto su come diventare un poeta romantico genio e sregolatezza in pochi, semplici passi; sbaglia l’andamento e le atmosfere, lontanissime da qualunque adesione al gotico e più vicine a uno sceneggiato televisivo che a un film vero e proprio; sbaglia, più di tutto, il modo di restituire al pubblico contemporaneo la figura di una donna con una mentalità più avanzata rispetto a quella della sua epoca, ma pur sempre appartenente a quell’epoca. L’errore principale sta nel sostituire un insieme di convinzioni, maturate da un’educazione molto particolare ricevuta dal padre di Mary, con un confuso ribellismo adolescenziale che starebbe bene su una ragazzina del XXI secolo. Nel momento in cui Mary Shelly si comporta come un’adolescente in botta ormonale del 2018 (e Percy Shelley appresso a lei), hai fallito completamente l’obiettivo. Quando poi non riesci neanche a fare del tuo film una discreta macchina di intrattenimento, ecco servita una delle peggiori nefandezze dell’annata cinematografica in corso.