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Margini

2022
REGIA:
Niccolò Falsetti
CAST:
Francesco Turbanti (Michele)
Emanuele Linfatti (Edoardo)
Matteo Creatini (Iacopo)

Il nostro giudizio

Margini è un film del 2022 diretto da Niccolò Falsetti.

Se la provincia fosse uno stadio della vita dell’uomo coinciderebbe con l’adolescenza; se corrispondesse a un movimento artistico assimiglierebbe al pieno Romanticismo; se fosse un momento della settimana sarebbe la domenica pomeriggio. Intrappolata tra nostalgia e spinta costante verso qualcosa d’altro, la vita di provincia è un limbo tra insoddisfazione e voglia di riscatto, tra limiti e adrenalina, fra finito e infinito. Margini, infatti, è l’eloquente titolo del film realizzato da Niccolò Falsetti, prodotto dai Manetti Bros, distribuito da Fandango e interpretato da Edoardo (Emanuele Linfatti), Iacopo (Matteo Creatini) e Michele (Francesco Turbanti, supporto di Falsetti nella scrittura). A far da spalla ai tre protagonisti ci sono Silvia D’amico nei panni di Margherita, moglie di Michele, e Valentina Carnelutti, madre di Edoardo. Risponde all’appello anche Zerocalcare, nell’ultimo anno sugli schermi di tutto il mondo con Strappare lungo i bordi, la cui voce echeggia alla segreteria telefonica in un dei momenti più drammatici della pellicola; a questo punto sembra quasi inevitabile cogliere una coincidenza semantica tra le parole “margini” e “bordi”. Quasi a voler cogliere un’urgenza che ci accomuna tutti e che non viene mai evasa. L’impresa, ben riuscita, di questa squadra, ha portato sullo schermo due elementi tutt’altro che mainstream: la vita di provincia immersa nella maremma toscana e il punk hardcore del XXI secolo.

Siamo a Grosseto, all’alba della crisi economica che dal 2008 ha tenuto il mondo sotto scacco, la telecamera segue le vite di Edoardo, Michele e Iacopo, sconclusionati membri di un gruppo street punk, i Wait for Nothing, che cantano dai palchi delle sagre di paese “il punk è molto più di borchie, anfibi e creste colorate”. Stanchi e determinati a ottenere una rivincita dalla vita, decidono di organizzare, proprio a Grosseto, un concerto punk dei Defense, gruppo hardcore americano, con lo scopo di aprire per loro. La vicenda in realtà si rivela essere più complessa del previsto sia dal punto di vista operativo che per i limiti stessi generosamente offerti da una provincia decadente e impreparata ad accogliere un tale evento. Il film, a un primo sguardo, apparirebbe un atto celebrativo nei confronti del punk, in parte lo è, ma la vera celebrità è il percorso di crescita e formazione dei protagonisti, una crescita agognata, ma anche rifuggita, forse ingenuamente, quasi inconsapevolmente, può darsi inevitabilmente. Commedia musicale e rappresentazione della controcultura punk realizzano un sodalizio perfetto relegato ai margini di un mondo dove per entrare, a volte, bussare non basta. Il primo lungometraggio di Falsetti si scopre un lavoro fresco, onesto, fedele e lineare, alimentato da risate e drammi, da speranze e timori e da una sconvolgente verosimiglianza a fattezze, immagini e assordanti silenzi che chi vive ai margini delle metropoli conosce bene; tutto ciò coadiuvato dalla scelta, più che apprezzata, di abbandonare la via di una artificiosa e vezzosa dizione perfetta e asettica (sacrificando, talvolta, la comprensione di qualche dialogo) per lasciar posto ad un linguaggio caratterizzato, realistico, vero. Si ride, ma non troppo, ci si dispera, ma non fino in fondo.

L’ingenuità e l’evidente incoscienza dei protagonisti che vivono le difficoltà senza quasi rendersi conto della drammaticità di ciò che fanno e subiscono, lascia lo spettatore emotivamente coinvolto, ma, sempre, razionalmente vigile sul torpore di un microcosmo emarginato. Lentamente impariamo a conoscere Edoardo, Iacopo e Michele, dalle magliette che indossano, dai rapporti che hanno con le loro famiglie, dal modo completamente diverso di reagire. E, in un cinema che ci ha assuefatto a scene epiche, bivi decisivi, prese di coraggio e atti eroici, Margini, in modo quasi consolatorio, ci racconta una storia di tre sognatori smarriti, selvaggiamente ambiziosi, ma scarsamente risolutivi. Sono “a due ore da tutto”, ma per un motivo o per un altro sembrano anni luce da ogni cosa.   Tra “calci, pugni e tafferugli” per citare un gruppo, Gli Ultimi, che, tra gli altri, ha supportato il film dal principio, la storia va avanti, ma resta immobile, come le vite di chi la interpreta. La vedono la luce verde dall’altra parte del fiume, quasi la toccano con le loro mani, ma i Wait for Nothing, sono tre Gatzby che non riescono proprio a farcela. Sul finale, disillusi, ma anche un po’ soddisfatti, i protagonisti – in macchina, alle prime luci dell’alba – trovano finalmente il loro spazio grazie ad una vecchia canzone di Massimo Ranieri. Sono stati sconfitti, ma non si sentono perdenti, perchè, in questo mondo fatto di metropoli e province, c’è chi abbandona la provincia lasciandosi “salvare” e cambiare dalla metropoli e chi prova a “salvare” la provincia correndo il rischio di non cambiare mai se stesso.