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Majnuni – Torino Underground Cinefest VII Edizione

2019
Titolo Originale:
Majnuni
REGIA:
Kouros Alaghband, Drew Hoffman
CAST:
Adnan Omerovic (Adnan)
Nela Bazdar (Nela)
Dina Hebib (Dina)

Il nostro giudizio

Majnuni è un film del 2019, diretto da Kouros Alaghband e Drew Hoffman

Il termine Majnuni, in persiano e arabo, definisce l’ossessione amorosa che porta una persona a impazzire. In concorso al Torino Underground Cinefest VII edizione , visionabile quest’anno in streaming da forza maggiore su https://www.indiecinema.it/ previo abbonamento a cifra simbolica ma con la possibilità di usufruire di un trial gratuito per tre giorni; inoltre, alcuni film sono fruibili gratuitamente. Majnuni, diretto dal regista di origini iraniane Kouros Alaghband coadiuvato da Drew Hoffman, è oggetto filmico che si colloca al di fuori di ogni schema; è una di quelle opere che sfida lo spettatore a comporre il proprio film nella propria testa, soggettivo fino al midollo, con un plot ambiguo e ridotto all’osso che ognuno di noi può interpretare in maniera diversa. Il protagonista è Adnan (Adnan Omerovic) fascinoso smilzo con la barba caprina che vaga di notte per le strade di Sarajevo e il cui cammino si incrocia con quello di altri personaggi: un uomo ubriaco (Barry Del Sherman) a cui presta soccorso portandolo a casa dalla moglie Nela (Nela Bazdar) e dal figlio; l’attrice Dina (Dina Hebib) la cui storia si mescola sia a quella di Adnan che a quella dell’uomo ubriaco, che scopriremo essere impiegato presso l’ambasciata americana.

Non vi è nulla di definito in Majnuni, nel suo essere sperimentale in ogni aspetto (dalla musica allo stile di ripresa) ed è film che lascia più domande aperte che risposte: è davvero Nela l’oggetto dell’ossessione amorosa di Adnan? Qual’è il ruolo di Dina? E cosa la lega all’americano? In una scena particolarmente suggestiva, Adnan guarda la tv e sullo schermo vede le vite degli altri personaggi e vede se stesso, cantante su un palco, urlare la propria disperazione e rabbia per l’amore perduto. L’uomo si insinua in una famiglia a pezzi ma il suo ruolo è come se cambiasse in continuazione, giungendo fino a una totale spersonalizzazione (indossa i vestiti dell’americano, come a volerne prendere l’identità).

Non è un film facile e non è per tutti ma possiede due grandi punti di forza: la regia e l’attore protagonista, che è anche co-sceneggiatore. Alaghband e Hoffman seguono i personaggi in modo viscerale, sullo sfondo di una Sarajevo inquietante, fotografata ad arte da Lamia Sabic. Pregno di primissimi piani assai suggestivi, il film è composto dalla fisicità dei personaggi, dalla loro follia e dalla tristezza inesorabile che li pervade. La regia è una lezione di linguaggio cinematografico innovativo, si narra attraverso le riprese e non per mezzo del plot o dei dialoghi, questo denota un talento non comune. Adnan Omerovic è perfetto nel ruolo tanto da portarci a pensare che interpreti se stesso: siamo accanto a lui per tutto il film, gli siamo vicini nella sua follia e nel suo dolore, ora come non mai siamo tutti più empatici del solito e Majnuni in questo senso ci travolge.Forte di una nomination al Slamdance Film Festival e del passaggio alla Settimana del Cinema di Venezia 2019, Majnuni è film che merita di essere visto, anche più di una volta. Visione impegnativa ma meritevole.