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Mad God

2021
REGIA:
Phil Tippett
CAST:
Alex Cox (L’ultimo uomo)
Niketa Roman (Infermiera)
Satish Ratakonda (Chirurgo)

Il nostro giudizio

Mad God è un film del 2021, diretto da Phil Tippett.

Non esiste un modo semplice per approcciarsi a questo tipo di film d’animazione, anche se difficilmente si può rimanerne indifferenti. Phil Tippett è quello che meno a sproposito si può definire un maestro: il cinema popolare è stato consegnato all’immortalità anche grazie alla sua creatività e alla sua capacità di battere nuove strade. E Mad God è opera mitologica ancor prima che filmica, astratta ancor prima che visiva. È, insomma, essa stessa una divinità ignota e folle di cui si è attesa la comparsa: probabilmente non salvifica, ma liberatoria. Ossia quando la curiosità viene frenata dal disvelamento. Trenta e passa anni di lavorazione, di soste forzate e di speranze ormai buttate alle ortiche, mentre comunque i successi personali ed i grandi ingaggi non smettevano di arrivare. Ma come poteva il Dio degli effetti speciali rinunciare alla sua personale creazione? Da un anno a questa parte, con il disegno diventato concreto, possiamo dire “alleluia” e anche qualcosa di più. Anche se le conclusioni messe finalmente sul piatto potrebbero non piacerci.

Mad God si presenta subito nella sua tremebonda spietatezza e nel suo affossante cinismo. Un mondo creato da un dio sanguinario, sui precetti del Levitico, dove creature deformi fanno parte di una catena di montaggio che è in realtà di continua e perenne distruzione. Un inferno materiale, ossia fatto e mandato avanti con i più rozzi e primari fluidi corporei, dove viene inviato un misterioso esploratore. Il racconto crudo e visionario che ci viene proposto prende poi anche altre strade, in una sorta di tragedia in tre atti in cui latitano gli eroi e soprattutto le benevole divinità. Naturalmente la metafora di un mondo creato e subito dopo votato all’autodistruzione è, nella sua crudeltà, perfettamente calzante ai tempi. Allo stesso modo la figura protagonista e spettatrice di questo mondo in rovina, con la sua mappa sempre da aggiornare, richiama il senso di decadenza dell’umana curiositas. Anche perché questa connivenza tra creazione e distruzione è narrata da Tippett su più livelli, essendo l’esploratore stesso una creatura costantemente mandata al macello da un burattinaio che guarda dall’alto (il regista Alex Cox, unico interprete in carne ed ossa). Dalle sue carni deturpate da un chirurgo, verrà infatti estratto un mostruoso feto, che fungerà anche da collegamento alle successive parti del film. E mentre un altro esploratore viene inviato per completare la mappa, nella storia faranno capolino altri personaggi.

Figure come la nera e fluttuante balia che si prenderà in carico la piccola e piangente creatura: il suo ingresso in scena arriva attraverso un frammento sonoro di Salvo Randone dal Fellini Satyricon: un inserto poetico e visivo che contribuisce ad aumentare il senso di decadenza e di morte che conclude la scena e ne anticipa i risvolti. A chiudere, infine, il folletto: essere perfido e sadico in grado anch’egli di creare dei piccoli ecosistemi, con tanto di bizzarre creature annesse e di prestabilite catene alimentari. Nel dono del dare la vita e di sottomettere la natura alla propria volontà, ritorna dunque il senso disfattista dell’esistenza, insieme alla componente più importante e lasciata scientemente da ultimo: il tempo. Orologi, ragnatele, decomposizione: il biologico passare che si aggiunge alle altre spietate divinità, immortali e mortali, vere o aspiranti tali, che osservano il loro mondo esaurirsi in e con sé stesso. Il principio e la fine, mai così vicini e così uguali.