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L’uomo sul treno

2018
Titolo Originale:
The Commuter
REGIA:
Jaume Collet-Serra
CAST:
Liam Neeson (Michael MacCauley)
Joanna (Vera Farminga)
Patrick Wilson (Alex Murphy)

Il nostro giudizio

L’uomo sul treno è un film del 2018, di Jaume Collet-Serra

Nel suo celebre volume Il cinema in prospettiva J.L. Leutrat individua nel treno la metafora più indicativa attraverso la quale descrivere il profondo sconvolgimento socio-culturale introdotto, a fine XIX secolo, dall’avvento del cinema, invenzione tecno-motorizzata, più che mai indicativa dell’Età Moderna, capace di accompagnare lo spettatore/passeggero all’interno di un viaggio visuale mediante il potere fascinatorio delle immagini in movimento, rese fruibili attraverso la superficie trasparente di uno schermo/finestrino, senza più la necessità di muoversi fisicamente. Pertanto, a partire dalla celebre locomotiva in arrivo alla stazione della Ciotat, protagonista della seminale veduta dei fratelli Lumière, giungendo infine ai vagoni punk-distopici dello Snowpiercer di Bong Joon-ho – senza dimenticare, nel mezzo, il convoglio virulento di Cassandra Crossing e le invasioni zombesche con gli occhi a mandorla di Train to Busan -, la Settima Arte ha fatto più volte leva sul meccanismo della locomozione su rotaie quale fucina di potenziali racconti di tensione, individuando in Alfred Hitchcock uno dei suoi massimi cantori. Ed è proprio al maestro della suspense – con particolare attenzione a due titoli imprescindibili del tema quali La signora scompare (1938) e Delitto per delitto (1951) – che il furbo Jaume Collet-Serra ha chiaramente deciso di rifarsi per tessere le concitate atmosfere paranoiche di L’uomo sul treno, tesissimo (e onestissimo) action-thriller immerso nei reflussi giallo-mistery della meccanica narrativa di un’icona come Agatha Christie – con un occhio di riguardo al celeberrimo Assassinio sull’Orient Express –, un kammerspiel al cardiopalma in cui il vagone ferroviario diviene il palcoscenico/prigione nel quale si consuma l’intera vicenda.

Frutto del profondo rimaneggiamento di un’ottima sceneggiatura firmata da Byron Willinger e Philip de Blasi – a sua volta ispirata al racconto The Commuter -, L’uomo sul treno vede protagonista Michael MacCauley (il solito ombroso e roccioso Liam Neeson), ex poliziotto e da poco rimasto orfano del proprio impiego di assicuratore. In un giorno come tanti, a bordo del treno che da oltre quindici anni lo porta da casa al lavoro e ritorno, l’uomo viene avvicinato da un’enigmatica donna mai vista prima (Vera Farminga), la quale, sotto la velata minaccia di possibili ritorsioni ai danni della famiglia e con l’incentivo di una cospicua somma di denaro, gli propone un insolito compito: individuare, a bordo del convoglio, un passeggero che non è un pendolare, con l’obiettivo finale di ucciderlo. Ben presto Michael si troverà coinvolto, suo malgrado, in una disperata corsa contro il tempo,, cercando di salvare il proprio destino e quello dei propri cari. La grande intelligenza dimostrata da Collet-Serra con l’ottima direzione di L’uomo sul treno si mostra in particolare (per rimanere in tema) su due distinti binari. In primo luogo, l’impiego del convincente attore-feticcio Liam Neeson – qui alla sua quarta collaborazione col cineasta ispanico dopo Unknown – Senza identità (2011), Non-Stop (2014) e Run All Night (2015) – si mostra più che mai azzeccata per dare il giusto spessore a un racconto ricco di azione a buon mercato, che non vuole apparire nulla di più di ciò che è stato concepito per essere, ovvero un gustoso prodotto di entertainment senza nessunissima pretesa.

In seconda istanza, la scelta di un impianto estetico-narrativo che predilige il meccanismo dell’unità di tempo e di luogo, coagulata della figura del convoglio/trappola, si dimostra estremamente azzeccata nel permettere una corretta lettura (e una corrispettiva immedesimazione) da parte dello spettatore, chiamato, proprio come in un romanzo giallo, a “scartare” i vari personaggi fino al disvelamento del tanto agognato “colpevole”. Se nel mediocre La ragazza del treno – a sua volta frutto di un adattamento letterario – il vagone si faceva schermo privilegiato attraverso cui osservare la routinaria (e misteriosa) esistenza esterna, in L’uomo sul treno esso rappresenta, invece, un’implosione ermetica verso l’interno, facendosi contenitore di un claustrofobico dramma tensivo fatto apposta per essere gustato tra un pop-corn e un sorso di Coca Cola, senza pensare troppo alle inevitabili incongruenze e ingenuità di fondo.