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Lucky

2017
Titolo Originale:
Lucky
REGIA:
John Carroll Lynch
CAST:
Harry Dean Stanton (Lucky)
David Lynch (Howard)
Beth Grant (Elaine)

Il nostro giudizio

Lucky è un film del 2017, diretto da John Carroll Lynch

Molti sedicenti “capolavori” della storia del cinema devono gran parte della propria fortuna all’aura mitologica nata e cresciuta attorno ad alcuni dei loro protagonisti, condizione spesso derivante da tragiche e precoci dipartite dal sapore quasi leggendario. Se i celebri casi di Brandon Lee per Il Corvo e di Heath Ledger per Parnassus possono essere considerati autentici exepla da video-cultura pop, Lucky non segna semplicemente il discreto e onesto esordio registico di un buon attore di carattere come John Carroll Lynch – la cui ricca ed eterogenea carriera spazia da Zodiac a The Founder, senza dimenticare la perturbante performance nella seconda stagione della serie Netflix Channel Zero –, ma si erge ad autentico testamento filmico (e spirituale) di un gigante della Settima Arte quale Harry Dean Stanton, qui magistralmente impegnato nella sua ultima intensa prova attoriale, destinata, nel bene e nel male, a entrare nell’immaginario collettivo. Mai prima d’oggi un film – e, ovviamente, la sceneggiatura che ne è alla base – si era mostrato capace di generare una mimesi così profonda tra personaggio e interprete, impedendo di scindere l’uno dall’altro a causa della profonda aderenza e coincidenza di vissuti diegetici ed extra digetici che hanno come protagonista il vecchio Lucky (Harry Dean Stanton), burbero e solitario novantenne, residente in uno sperduto paesino assolato in cui trascorre le proprie giornate fra cruciverba, sessioni di yoga mattutino, quiz televisivi e tanti, tanti pacchetti di sigarette.

Tuttavia, in seguito a una tragicomica caduta domestica, l’anziano veterano di guerra inizia a considerare la propria vita sotto una differente prospettiva, mentre continua a interagire con gli abitanti della piccola comunità che lo circonda, tra cui l’eccentrico Howard (un gustosissimo David Lynch alle prese con la fuga di una tartaruga da appartamento), la conturbante Elaine (Beth Grant) e il gioviale barista Joe (Barry Shabaka Henley). Muovendosi lento e contemplativo fra le suggestive atmosfere di uno spleen esistenzialista alla Jim Jarmush – di cui replica il principio di de-drammatizzazione, che porta la vicenda a non avere alcun vero scopo, se non quello di mostrare semplici personaggi all’interno di ambienti – e condito con spruzzi da western post-urbano (e post-moderno) alla Wim Wenders – dove forti si fanno sentire gli echi della celebre interpretazione di Stanton in Paris, Texas –, Lucky mette in scena un universo desolato, commovente e grottesco, molto vicino alle strampalate visioni del surrealismo camp lynchano, quest’ultimo forse un po’ troppo ingombrante e stucchevole nel suo voler strizzare forzatamente l’occhio, in più di un’occasione, agli stilemi estetico-narrativi del cineasta di Missoula, con particolare attenzione a The Cowboy and the Frenchman e Una storia vera.

Lucky è Harry Dean Stanton, tanto quanto l’attore feticcio lynchiano per eccellenza aderisce perfettamente a un ruolo cucito su misura per il proprio corpo e il proprio carattere, permettendogli d’imprimersi indelebilmente nella video-memoria collettiva, in una forma che assume i contorni di uno straniante memento mori, così come accaduto ai colleghi Catherine Coulson e Miguel Ferrer con il loro definitivo congedo nella terza stagione della serie di Twin Peaks. Cercando di assumere tenacemente i contorni di un’opera indie d’autore – tanto da aver fatto incetta di premi e candidature nei più prestigiosi festival di settore -, Lucky trova come unico (vero?) limite l’eccesso di derivatività e la sovrabbondanza di richiami a impalcature drammaturgico-formali mutuate da un cinema ormai troppo codificato, sintomo certamente di una regia totalmente asservita – forse in maniera eccessivamente ossessiva – all’interprete/personaggio attorno a cui l’intero progetto è stato concepito e plasmato.