Featured Image

L’isola dei cani

2018
Titolo Originale:
Isle of Dogs
REGIA:
Wes Anderson
CAST:
Voci: Bryan Cranston (Capo)
Koyu Rankin (Atari Kobayashi)
Edward Norton (Rex)

Il nostro giudizio

L’isola dei cani è un film del 2018, diretto da Wes Anderson

Nel 2037 la zona periferica del Giappone decide di mettere al bando ogni cane per segregarlo su un’isola artificiale. Quella che viene definita come “influenza canina” rischia di diventare un serio problema per gli abitanti orientali. Questo bando, firmato dal sindaco in persona, non risparmia nessun cane, che sia randagio o di famiglia, spostando tutto l’affetto del popolo per i gatti, esseri innocui e nobili. Anni dopo, il tredicenne Atari, precipita con il suo piccolo aeroplano sull’isola (L’isola dei cani, per l’appunto) con la missione di ritrovare e portare a casa il suo cane Spots. In questa ricerca sarà accompagnato da un branco di cani che hanno come leader Capo (Bryan Cranston), randagio che tra tutti gli abitanti dell’isola sembra l’unico a non soffrire dell’abbandono da parte dell’uomo. Il cinema di Wes Anderson è tra tutti quello più facilmente riconoscibile da pochi frames e dalla posizione della macchina da presa, dal gusto simmetrico e attento a ogni tipo di dettaglio. Con L’isola dei cani il regista torna per la seconda volta, dopo la parentesi Fantastic Mr. Fox, all’uso della stop-motion che conferma quanto questa tecnica gli sia assolutamente congeniale per veicolare ogni tipo di cura del dettaglio da lui proposto. Che poi, alla fine, ci si ritrova piacevolmente di fronte alla classica storia tipica del regista, sempre piena di tanti e diversi personaggi, quasi al limite dell’ilarità e comicità fuori di testa mai fine a se stessa.

Abbracciando il tema della favola morale, in L’isola dei cani Anderson si muove con abilità nella stesura della sua storia, ricorrendo a dei flashbacks inseriti con un ritmo di montaggio magnifico, senza mai abusarne. Gli stessi estimatori, come i detrattori che non sono pochi, troveranno motivi in comune per amare oppure odiare questa sfrontatezza estetica e pacchiana nel realizzare le sue storie, un prodotto uscito fuori da una pura mente hipster, senza mai scordarsi di puntare alla tenerezza e al cuore dello spettatore. D’altronde è una storia vecchia come il mondo, raccontare quel misterioso e intimo legame che unisce un bambino a un cucciolo, chiedersi cosa mai sia successo all’umanità per causare questa psicosi collettiva contro i cani, proprio loro che sono i migliori amici dell’uomo. A questo Anderson non ha una risposta, non vuole neanche trovare forzatamente una morale per una storia inventata di sana pianta, ma ci pone la massima attenzione, ci ragiona, tramite i suoi protagonisti, proprio con il ragazzo Atari e il randagio Capo.

Loro due sono caratterialmente due personaggi agli antipodi: l’umano è il perdono e la riconciliazione, il cane invece è la memoria e l’identità; elementi che devono necessariamente implodere in un unico punto per comprendere l’origine di questo distacco, riscoprire la propria natura – la fase finale del film ha un processo di decostruzione chirurgico e importante – per poi arrivare alla risoluzione finale, lontana dagli stereotipi narrativi classici di un racconto fiabesco, ma vero e proprio tribunale umanitario atto a puntare il dito contro qualcosa insito nell’animo egoistico degli uomini, creare e incanalare un discorso di responsabilità e rispetto dell’uomo non solo verso i cani, ma ogni essere animale del pianeta. Il consiglio è quello di vedere L’isola dei cani in lingua originale se possibile. Il cast all star di voci al doppiaggio merita di essere ascoltato nella sua versione originale, il tutto accompagnato dalla bellissima colonna sonora di Alexandre Desplat: senza di essa, il film avrebbe perso punti importanti.