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L’innocente

2022
REGIA:
Louis Garrel
CAST:
Louis Garrel (Abel Lefranc)
Roschdy Zem (Michel Ferrand)
Anouk Grinberg (Sylvie Lefranc)

Il nostro giudizio

L’innocente è un film del 2022, diretto da Louis Garrel.

Louis Garrel continua nel percorso peculiare da regista. Come molti hanno notato, il suo cinema non c’entra nulla con quello del padre, Philippe Garrel, e proprio questo costituisce una parte della forza. Il riferimento chiave non è lo sguardo post-Nouvelle Vague del genitore, per cui reciterà nel prossimo Le grand chiariot insieme a tutta la famiglia, ma sono altri: per L’innocente il genere prescelto è certamente il pastiche. Che è l’unione dei generi: commedia, melò, romantico, thriller e noir vengono convocati dal quarantenne francese, per costruire un racconto forse “minimo” ma funzionale e avvincente. D’altronde Garrel ha firmato finora titoli tutti diversi. In Due amici inscenava la storia d’amore con una ragazza araba che segretamente torna a dormire in carcere, trattando già il tema della detenzione; ne L’uomo fedele viene lasciato dalla donna perché incinta dell’amico, salvo poi ritrovarsi; in La crociata propone una piccola utopia ambientalista cucita sulla protesta ecologista dei bambini. E Louis Garrel nei film si chiama sempre Abel, sottolineando così il lato autobiografico del lavoro, la riscrittura di sé in stile Nanni Moretti di cui è un grande ammiratore.

Ne L’innocente la sessantenne Sylvie (Anouk Grindberg) lavora in carcere e ha un debole per i detenuti che incontra dietro le sbarre: il prendersi cura scivola spesso nell’innamoramento e nell’ipotesi di una relazione. Stavolta tocca a Michel (Roschdy Zem), un uomo di origine marocchina che sta finendo di scontare la sua pena. All’inizio della storia i due hanno già deciso di sposarsi, procedono dunque al matrimonio senza consumare nella prima notte di notte, perché il condannato deve rientrare in galera. È qui che entra in scena Garrel, ovvero Abel, cioè il figlio della donna. Conoscendo il vizietto della mamma, non si fida di Michel e vuole verificare se davvero ha smesso col crimine, come egli giura, oppure se è ancora invischiato nel sottobosco illegale parigino. Comincia a seguirlo. Parte allora un pedinamento, un gioco al gatto e topo che gradualmente confonde le acque, rimescola l’ovvio, riscrive le posizioni. Il film diventa a tratti un thriller con una forte venatura noir: lo dimostra la sequenza del vertiginoso inseguimento notturno, in cui Abel va dietro a Michel in un momento decisivo, per scoprirne la vera natura. C’è da dire che sullo sfondo, ma non troppo, si staglia la migliore amica di Abel, Clémence interpretata da Noémie Merlant (segnatevela: un’attrice del futuro, e anche del presente), che come tutte le amiche si muove nella zona liminare che confina col sentimento.

In filigrana scorre poi il tema della rieducazione. Cosa succede quando esci dal carcere? È possibile rialzarsi, aprire una pagina nuova, o si resta sempre segnati? Ma questa è una premessa, il punto di origine e mai il centro del discorso. La riuscita de L’innocente sta infatti nell’essere un film di genere, anzi di generi: l’Abel di Garrel subisce un detour, una deviazione dalla strada maestra, viene travolto dal turbine degli eventi fino a un clamoroso scambio di ruoli. Il regista se la gioca guardando piuttosto a Truffaut, ma anche al noir di Maurice Pialat puntando sull’indecidibilità di ciò che stiamo guardando, sulla difficoltà a stabilire cosa alberga davvero nell’anima dei personaggi. Se si tratti di fato o caso, non è dato sapere: di sicuro c’è qualcosa che muove le pedine, in questa ronde indiavolata dove ognuno può occupare il posto dell’altro o dell’altra. Così si passa di genere in genere, di tono in tono per cento minuti, e il giudice ultimo è sempre il destino.