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Life of Crime 1984-2020

2021
REGIA:
Jon Alpert
CAST:
Freddie Rodriguez
Deliris Vasquez
Robert Steffey

Il nostro giudizio

Life of Crime 1984-2020 è un film del 2021, diretto da Jon Alpert.

È un’operazione peculiare quella del giornalista e regista Jon Alpert: egli segue tre tossicodipendenti nell’arco di trentacinque anni delle loro vite, esattamente dal 1984 al 2020. Siamo a Newark, la maggiore città del New Jersey. Loro si chiamano Rob, Freddie e Deliris. In realtà sono suoi amici: anche per questo, evidentemente, hanno accordato il permesso per la realizzazione del lungo documentario. E sono, soprattutto, vite criminali: all’inizio del film negli anni Ottanta li vediamo giovani, mentre compiono piccoli furti e rapine proprio davanti alla telecamera. Uno di loro, Rob, addirittura “impartisce” le istruzioni di come si fa un furto al supermercato: lo allestisce, dice di tenersi pronti, quindi lo esegue. Alpert registra con il suo obiettivo. Il racconto viene scandito da semplici didascalie cronologiche, che indicano gli anni, appunto, a segnalare lo scorrere del tempo e invitarci a guardare i personaggi che crescono davvero nei decenni: cambiano, dimagriscono, ingrassano, invecchiano. A intervalli irregolari li ritroviamo in prigione, condannati da vari tribunali a tre, sei, otto anni, perché non sono geni del crimine, sono destinati ad essere presi. E continuano a compiere piccoli reati: “un reality poliziesco”, lo ha definito il regista, espressione calzante che serve anche a sottolineare il nostro spiazzamento di spettatori. Seguire veri ladruncoli che compiono vere rapine smonta totalmente la retorica narrativa insita nei codici dell’“heist movie”: non ci sono colpi ricostruiti, solo colpi veri. L’occhio non è abituato e subisce un profondo disorientamento. Ma la chiave di tutto è l’eroina. È lei, la droga dei sobborghi, la prima e vera responsabile delle disgrazie di Rob, Freddie e Deliris, come da loro stessi viene spesso sottolineato.

Sia chiaro: siamo in un contesto che non lascia scampo, con poche alternative o nessuna. Lo dice bene il personaggio di Freddie all’ennesimo rilascio: non trova lavoro, un’occupazione stabile è impossibile, farsi è l’unica possibilità. Non a caso ognuno di loro non si lamenta del periodo dietro le sbarre, anzi è un’occasione per restare puliti, per un semplice motivo: è l’eroina l’unica galera. Il regista realizza una presa diretta impressionante, che va a creare un circolo vizioso sviluppato nell’arco del tempo: tutti tornano puntualmente a bucarsi. E lo fanno davanti alla macchina da presa. Alpert registra esattamente la preparazione di una dose, poi la siringa che penetra nella vena, quindi gli effetti della “fattanza” con le pupille a capocchia di spillo, lo sguardo perso, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta. È tutto vero. Inutile girarci intorno, nel corso della visione c’è un nome preciso che si forma nella mente: quello di Claudio Caligari. Come l’autore di Amore Tossico aveva conquistato con pazienza la fiducia dei tossicodipendenti, facendoli affidare totalmente a lui e alla sua macchina da presa, allo stesso modo agisce Alpert; ma con una differenza, visto che qui non c’è una rimessa in scena della tossicità nella vita, ma ciò che vediamo sta succedendo davvero in quell’istante davanti ai nostri occhi. Attraverso il suo metodo l’autore documenta un vero e proprio corpo a corpo contro l’eroina, fatto di periodi clean e ricadute, e la strategia nei tre decenni e mezzo riesce a catturare momenti struggenti: uno per tutti la figlia di Deliris, piccola ma già adulta, che discute liberamente con la madre a proposito della sua tossicodipendenza (“Se ti buchi ancora non starò più con te”).

Life of Crime 1984-2020 è quindi un viaggio spietato, senza sconti, quasi insopportabile, che però ci fa innamorare dei suoi protagonisti: sono tre poveri, tre ultimi, tre anime dannate che non possono far altro che lottare contro l’abisso quotidiano, in cui è troppo facile scivolare.  L’empatia non viene cercata, ma sgorga naturalmente mentre ne facciamo la conoscenza: impossibile non capire la loro condizione, impossibile non farseli “amici”. Proprio per questo gli anni finali arrivano come un pugno, perché portano a compimento le parabole dei tre, diverse tra loro ma tutte ugualmente tragiche. È un film che non si ferma davanti alla morte, anzi la sfida portandola in campo, mostrando anche cadaveri ma non con pornografia, bensì con pudicizia. Perché sono lì e sono veri, dunque vanno visti. È un film di denuncia, certo, perché sottolinea come in America i morti di overdose siano maggiori di tutte le vittime di guerra (ancora: l’eroina è la vera ecatombe). Ma la denuncia non esaurisce il suo ruolo né la sua potenza straordinaria: lo sguardo sui tre junkies, la registrazione scientifica delle loro vite è qualcosa che raramente si è visto. I tossici non sono mostri, ma vittime di Stato, carne da macello nella scala sociale: vanno interrogati e ascoltati. Vanno seguiti, letteralmente, con una telecamera. Come fa Alpert. Per queste e altre ragioni Life of Crime 1984-2020, presentato fuori concorso, è stato una delle vette del Festival di Venezia 2021.