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Life as a B-Movie

2019
Titolo Originale:
Life As a B-Movie
REGIA:
Fabrizio Laurenti, Niccolò Vivarelli
CAST:
Quentin Tarantino
Franco Nero
Emir Kusturica

Il nostro giudizio

Life As a B-Movie è un film documentario del 2019, diretto da  Fabrizio Laurenti e Niccolò Vivarelli

Provocazione del 1988, penultimo film di Piero Vivarelli, con Moana Pozzi (già da sette anni a luci rosse) racchiude nel titolo il senso dell’esistenza alternativa e anticonvenzionale del regista senese scomparso, ottantatreenne, il 7 settembre 2010: la provocazione, appunto. Di questa opera erotica – non certo la ciambella uscita col miglior buco nella filmografia vivarelliana – non si accenna in Life As a B-Movie affascinante docu-film presentato alla 76esima Mostra di Venezia da Fabrizio Laurenti e dal nipote di Vivarelli, Niccolò. Una vita, quella di Piero, un po’ alla Vasco Rossi di Voglio una vita spericolata. Del resto, come affermano Laurenti e Vivarelli jr, “il miglior film di Piero è stata la sua vita”. Il documentario è a tratti commovente nel riportaci indietro in un tempo che oggi ci pare quasi favolistico, costellato di belle donne senza silicone e avventure impossibili per i nostri giorni, inimmaginabili per gli attuali cineasti: tutto, per riuscire a portare a casa un film compiuto, condito da storie d’amore e di sesso sui set, frenetici entusiasmi, viaggi esotici, balle incrociate raccontate a mogli e amanti, amori perduti e riconquistati. Cinema a 360 gradi, insomma. Tutto filmato anche all’interno delle proprie esistenze. A raccontare tutto questo ci sono le immagini dei film di Piero, dai primi musicarelli, pure questi alternativi rispetto ai precedenti, portatori di novità, come il mix fra melodico e rock, fino agli erotico-esotici, i decamerotici (d’antropologia africana, però, come Decamerone Nero del ‘72 ), gli indu-misticistici con apparizioni di Ganesh, Shiva e Parvati come Codice d’amore orientale (’74), passando per opere politicamente impegnate come Oggi a Berlino (’62) e il più tardo documentario Addio a Enrico Berlinguer (’84).

Nonché per sceneggiature di spaghetti western, con Sergio Corbucci e Franco Rossetti (Django del ‘66), omaggiato da Quentin Tarantino proprio qui a Venezia, anni fa. E per l’autobiografico Nella Misura in Cui… del ’79. Forse proprio l’essere stato, agli inizi, al fianco di Lucio Fulci ha reso Vivarelli un onnivoro di generi, pur mantenendo una propria cifra stilistica (comunque e sempre rivoluzionaria). Inevitabilmente, però, parlando di Piero, si finisce con il tornare a citare la sua vita, le sue frequentazioni e il suo intuito in ambito musicale (24.000 Baci di Celentano, una canzone per tutte), le sue feste trascinate fino all’alba – come ricorda la prima moglie – i suoi assalti all’arma bianca a Oriana Fallaci durante un diverbio, la sua amicizia-collaborazione con colleghi come Umberto Lenzi, Sergio Corbucci, lo sceneggiatore Franco Rossetti, suo conterraneo (Lenzi e Rossetti hanno fornito preziose testimonianze in questo Life As a B-Movie, ma oggi non ci sono più). Parlano di Piero, oltre ai colleghi di allora, Franco Nero che ricorda come la sola cosa che sapesse iniziando a girare Django, di cui è protagonista, era che doveva trascinarsi nel fango una pesante bara (il resto venne strada facendo); Pupi Avati, allora impiegato alla Findus, che proprio con Piero si introdusse nel mondo del cinema, ottenendo una particina di pochi secondi, come attore, nei panni di un medico legale; la Pavone, protagonista di un mitico musicarello (Rita, la figlia americana, ’65) con un Totò tristarello che fa anche il cantante capellone accompagnato dai Rokes di Shel Shapiro; la sua seconda moglie Beryl Cunnigham, co- protagonista de Il Dio Serpente, con la immortale colonna sonora di Augusto Martelli, sul processo di liberazione sessuale di una occidentale (una strepitosa Nadia Cassini) in terre esotico-esoteriche.

Fa tristezza vedere oggi la Cunnigham, intervistata: allora era di una conturbante bellezza androgina, oggi, nonostante abbia solo 73 anni, è un’anziana donna con i baffi. Parlano anche Emir Kusturica che inserì 24.000 Baci nel suo primo film (Ti ricordi di Dolly Bell?, ‘81); Gianni Minà, che fu con Vivarelli a Cuba dove Fidel gli consegnò la tessera del Partito Comunista Cubano, unico straniero a godere di questo privilegio nonostante in gioventù avesse fatto parte della Decima Mas; Gabriele Salvatores, che fu amico del figlio di Vivarelli, Alessandro, con il quale lavorò, e che morì quarantenne per eroina; e tanti altri che lo conobbero. Vivarelli viene ricordato anche da critici come Manlio Gomarasca, Marco Giusti, Steve Della Casa, Vincenzo Mollica, Oliver Père, Giona Nazzaro, Alberto Crespi, Maria Pia Fusco. Un pezzo di storia del cinema che sarebbe finito nel dimenticatoio se non fosse stato per un manipolo di critici (in primis quelli che ho citato) e – lo scrivo con orgoglio – riviste come Nocturno. Finale con Mina, bellissima, giovane e sensuale, che fa gelare il sangue nelle vene e ti fa pensare, irrazionalmente: peccato che il passato sia passato.