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Let Him Go

2020
Titolo Originale:
Let Him Go
REGIA:
Thomas Bezucha
CAST:
George Blackledge (Kevin Costner)
Margaret Blackledge (Diane Lane)
Lesley Manville (Blanche Weboy)

Il nostro giudizio

Let Him Go è un film del 2020, diretto da Thomas Bezucha.

In un modo o nell’altro, tutte le strade conducono al western. Che sia quello classico alla John Ford, quello violentemente moderno di Peckinpah e Hill oppure quello sfacciatamente postmoderno marchiato Tarantino, la gloriosa epica della Frontiera continua innegabilmente ad affascinare. Anche quando, come nel caso di Let Him Go, al posto delle aride distese della Death Valley di fine Ottocento, il tutto si svolge nell’erboso Montana degli anni ’60, magnifico sfondo naturale di un dramma che ha tutta la potenza e il respiro di un on the road alla ricerca dell’affetto perduto, scandito tuttavia non dal rutilante scalpiccio degli zoccoli di un puledro ma bensì dai solidi pneumatici di una Cadillac ben cromata. Thomas Bezucha non sarà certo un Anthony Mann o un Samuel Fuller, questo è ovvio, ma è pur vero che la sua opera è intrisa fino al midollo di tutti i sani ingredienti necessari a imbastire un racconto di onore, sentimenti e riscatto che non necessita per forza di cowboy e indiani per essere raccontato a dovere, così come il romanzo omonimo di Larry Watson aveva già dimostrato ben prima di essere traslato dalla carta allo schermo. È pur vero comunque che, di riffa o di raffa, anche in Let Him Go si finisce pur sempre per parlare di cavalli, mandriani e cappelloni a tesa larga, sale della vita per l’attempato ex sceriffo George Blackledge (Kevin Costner) e la di lui consorte Margaret (Diane Lane), i quali, assieme al figlio James (Ryan Bruce) e alla nuora Lorna (Kayll Carter) fresca fresca di parto portano avanti la loro tranquilla vitaccia nel ridente ranch di famiglia.

Dopo l’improvvisa morte del loro primogenito, in seguito a una letale caduta da cavallo, i due coniugi si troveranno costretti ad affrontare un autentico calvario quando Lorna, risposatasi in fretta e furia con il violento Donnie Webody (Will Brittain), scomparirà nel nulla assieme al figlioletto Jimmy, trascinata di forza dal nuovo rude marito nel nella casa della dispotica Blanche (Lesley Manville), matrona della spietata famiglia Webody, il cui potere intimidatorio non conosce confini di territorio o di legge. Trovandosi costretti a fronteggiare l’omertosa ostilità delle forze dell’ordine locali, George e Margaret attraverseranno gli impervi Sentieri Selvaggi del profondo Michigan con l’intento di riportare a casa i due unici affetti ancora in vita, grazie al supporto di un giovane nativo americano (Booboo Stewart) e dell’incrollabile forza dell’amore reciproco. Non è affatto un mistero che Let Him Go sia un film giocato quasi integralmente sul principio della dualità, incominciando da un impianto western di stampo classico perfettamente integrato all’interno di un immaginario anni ’60 che richiama a gran voce all’epica dei pionieri di fine XIX secolo, costretti a muoversi in un paese per lo più ancora tutto da scoprire e al contempo brulicante di profondi cambiamenti culturali e sociali.

Non sfugge inoltre la fortissima contrapposizione che inonda tutto l’universo femminile della pellicola, in primis con il confronto fra l’attempata donna forte (Margaret) e la giovane ragazza spaurita e sottomessa (Lorna), alla quale si unisce la tensione decisamente palpabile nei confronti della perfida Blanche, matriarca di sopraffina crudeltà che nulla ha di che invidiare alla Jessica Drummond/Barbara Standyck del Quaranta pistole fulleriano. Ed è appunto innegabile che l’opera di Bezucha sia, a conti fatti, una lotta tutta al femminile, nonostante l’apparente dominio del testosterone e lo specchietto per le allodole costituito dal faccione monoespressivo del risoluto Kevin Costern, anch’egli affetto dal morbo del grugno da termosifone comune a molti stagionati colleghi di set ma capacissimo, come il Wayne e l’Eastwood dei tempi d’oro, di trasformare il proprio limite in una maschera perfettamente coerente e calzante. Il lungo viaggio attraverso Il grande paese imbastito dai nostri due crepuscolari eroi automuniti rappresenta, prima di tutto, una (ri)scoperta di sé stessi, del proprio rapporto, dei propri sogni e, cosa più importante, di ciò che deve essere lasciato andare e ciò che invece vale la pena di essere ritrovato conservato ancora a lungo. Si perché, a differenza dello Shane di George Stevens, qui il nostro Cavaliere è tutto fuorché solitario, potendo contare su di una compagna forte, risoluta e tosta quanto se non più di lui, mossa dal sentimento di moglie, madre e nonna che, in una perfetta triade, la renderanno capace di resistere ad ogni proiettile e ad ogni ferita.