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Les apparences

2020
REGIA:
Marc Fitoussi
CAST:
Karin Viard (Eve)
Benjamin Biolay (Henri)
Lucas Englander (Jonas)

Il nostro giudizio

Les apparences è un film del 2020, diretto da Marc Fitoussi.

Nella ricchissima sezione internazionale del Noir in Festival, che raccoglie film provenienti da tutto il mondo, ci ha incuriosito in modo particolare Les apparences di Marc Fitoussi, un dramma a tinte gialle e nere (anzi, nerissime) che ha mantenuto in pieno le aspettative. Co-produzione tra Francia e Belgio, conosciuto anche col titolo internazionale Appearances, è la prima incursione del regista (finora più avvezzo alla commedia) nel genere drammatico, che dimostra di saper padroneggiare come i maestri. Non per niente è stato definito dall’illustre rivista francese L’Obs (cioè l’ex Le Nouvel Observateur) “Un grande successo nello spirito di Chabrol”. Parlare de Les apparences non è facile, sia perché ha una trama fittissima di intrecci, sia perché si tratta di un oggetto alieno e trasversale ai generi, ma che proprio in questa unicità trova una delle tante ragioni della sua riuscita. Lo stesso Fitoussi scrive soggetto e sceneggiatura partendo dal romanzo di Karen Alvtegen-Lundberg. Ambientata a Vienna, la vicenda ha come protagonista una coppia di coniugi dell’alta borghesia, Eve (Karin Viard) e Henri (Benjamin Biolay), francesi trapiantati in Austria: lui è un rinomato direttore d’orchestra, lei è direttrice di una biblioteca, vivono nell’agiatezza con il loro figlio adottivo e frequentano l’élite della città. La quiete è spezzata quando Eve scopre che il marito la tradisce con Tina, un’insegnante del bambino. Sconvolta, esce a bere qualcosa in un bar e viene avvicinata da Jonas, un ragazzo con il quale trascorre la notte, verosimilmente senza però consumare nessun tipo di rapporto sessuale.

Per Eve è stata solo un’avventura, ma il giovane – che ha già avuto condanne per stalking – inizia a seguirla e perseguitarla. A sua volta, la donna comincia a indagare ed entrare nella vita della misteriosa Tina. I destini dei quattro finiscono per incrociarsi tragicamente. La vicenda è intricatissima, fatta di continui segreti e misteri, ma quella che Fitoussi vuole mettere alla gogna è innanzitutto l’ipocrisia perbenista della borghesia: famiglie dove l’amore è apparenza, i dialoghi sono vuoti, ciò che conta è salvare la faccia, mantenere un’aura di rispettabilità – come il marito dirà con forza alla moglie nell’intenso confronto finale – mentre dominano menzogne, tradimenti e calunnie. Per questo motivo, L’Obs ha ragione da vendere quando coglie uno spirito chabroliano ne Les apparences: non il Chabrol pop delle origini, ma quello più antiborghese e contestatario degli anni successivi, da Stéphane, una moglie infedele ai più recenti Il buio nella mente e La commedia del potere, non solo per la messa alla berlina di un certo status sociale, ma anche per la contaminazione del dramma tout-court con elementi noir e thriller. Tutti elementi che Fitoussi riesce a trasporre con grande eleganza – narrativa e formale – nel suo film, dipanando il fitto intreccio con uno stile ricercato e una narrazione ricca di pathos ma allo stesso tempo contenuta (lontana, per esempio, dagli eccessi zulawskiani), grazie anche a interpretazioni di classe. Ciò che traspare a pelle è innanzitutto una certosina cura estetica, e la regia ha buon gioco in tal senso, trovandosi a girare a Vienna, una delle città più raffinate al mondo, fra il Teatro dell’Opera, i sontuosi palazzi, le strade eleganti, il Danubio, sulle note dei valzer o di efficaci musiche d’atmosfera.

Eppure siamo lontani da ogni orpello stilistico da feuilleton storico, gli sfondi naturali e le scenografie sono fotografati in modo volutamente freddo, tanto da ricordare anche lo stile di Michael Haneke – ne La pianista, per esempio. Les apparences è al contempo uno spaccato sociale – la comunità dell’alta borghesia francese trasferitasi a Vienna, con il conseguente confronto/scontro di culture – e un acuto ritratto psicologico di personaggi diversi fra loro ma accomunati dall’impossibilità di amare (anche per questo si citava La pianista). Il sesso è praticamente bandito – c’è solo una scena fugace di un focoso amplesso fra Eve ed Henri – mentre Jonas si limita ad accovacciarsi con la donna senza probabilmente consumare il rapporto, per poi sdraiarsi nudo col suo foulard: siamo dunque lontani tanto dalle storie d’amore furoreggianti di un Carax o di uno Zulawski, quando dalla sessualità di un Ozon, giusto per restare nei modelli francofoni. La vicenda psico-thriller e noir si insinua man mano, introducendo elementi di mistero – Jonas ha un braccialetto elettronico alla gamba, Tina sembra voler fuggire da un passato che scopriamo poco alla volta – e il doppio stalking: l’inquietante ragazzo che perseguita Eve ovunque, e la stessa Eve che si vendica dell’amante del marito divulgando le sue mail, fino a incrociarsi in un tragico epilogo sulle rive del Danubio – che riecheggia per certi versi uno schema in stile I diabolici di Clouzot. Seguiranno le indagini della polizia e il processo. Il velo della famiglia borghese è stato squarciato: ma a Eve poco importa, poiché nell’ultima scena, dopo la separazione dal marito, la vediamo salire da sola su una carrozza a cavallo fra le strade eleganti di Vienna, come una regina.