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L’empire

2024
Titolo Originale:
L'empire
REGIA:
Bruno Dumont
CAST:
Lyna Khoudri: Line
Anamaria Vartolomei: Jane
Camille Cottin: Regina

Il nostro giudizio

L’empire è un film del 2024, diretto da Bruno Dumont

La prima sensazione che si ha guardando l’ultimo film di Bruno Dumont, presentato in concorso al Festival del cinema di Berlino, da cui è uscito vincitore dell’Orso d’argento, è quella della parodia, grazie all’adozione di una paradossale contraddizione: le epiche vicende da Star Wars sui destini della galassia vengono prese in mano dalla popolazione locale di un piccolo villaggio di pescatori della Côte d’Opale nel nord della Francia. Inizialmente è l’ambientazione rustica a prevalere, ma subito, nel momento in cui ci viene presentato il protagonista Jony (la sua tenuta da pescatore ci ricorda molto quella di una tuta spaziale), interpretato da Brandon Vliegh, l’atmosfera si perturba e veniamo a conoscenza della perenne guerra che viene combattuta sia in terra che in cielo, all’insaputa dei più, tra gli 0 e gli 1. Quest’ultimi sono caratterizzati da un immaginario legato al bianco e sembrerebbero propendere per il Bene (la spada laser blu di Rudy, lo scagnozzo di Jane), i primi, invece, caratterizzati da un immaginario legato all’oscurità e quindi al Male (è sempre l’abbigliamento del protagonista a venirci incontro: il rosso e il nero dominano). I conti, però, non tornano in questa manichea divisione che non si basa su principi morali: ciò che dovrebbe rappresentare il Bene non si comporta come tale, ma compie azioni riprovevoli. Vediamo, nelle prime scene, un tentativo di rapimento e di assassinio di un bambino, Le Margat, il figlio di Jony, rappresentante in terra degli 0. Se non per le assunzioni simboliche che attribuiamo a certi connotati, bianco e nero, di fatto non siamo portati  a parteggiare per l’una o per l’altra parte. Siamo di fronte a un’esagerazione o comunque a un ribaltamento dell’atteggiamento che assumiamo durante la visione di Star Wars: non ci viene data nessuna possibilità di prendere le parti dei cattivi, in quanto sappiamo benissimo per convinzione ideologica (per lo meno all’inizio) che su un piano morale Darth Vader e la sua compagine agiscono per egoistica e malefica sete di potere.

La direzione che prende Dumont è, dunque, non quella di una netta presa di posizione tra due entità divise, ma di un grigiore intermedio (tendente al nero), che in questa massa morale indistinta, porta a un inevitabile insudiciamento del biancore del bene,  a evocare uno dei primi problemi etici dell’umanità, nel momento in cui si rapporta con le impurità del sesso. Il protagonista assume progressivamente la consapevolezza del suo essere malvagio, proprio nel momento in cui incontra Line, o meglio: è Line che, subendo il fascino del male, prende quella strada. Anche l’altro personaggio femminile, Jane, pur facendo parte degli 0, subisce l’inevitabile seduzione del male, più in là nella storia. Un altro elemento su cui vale la pena riflettere è la quantità dei personaggi, dove si evince ulteriormente la modalità di rappresentazione parodica. Se in film dall’impronta epicicizzante come Star Wars o nella recente saga di Dune di Denis Villeneuve, quello che emerge è una grande quantità di personaggi, qui viene, invece, schematizzata e ridotta ai personaggi essenziali per muovere l’azione. Le masse che hanno sempre fatto da sfondo e le grandi battaglie sono ridotte a un nugolo di personaggi e a un modesto numero di villeggianti inconsapevoli, e spesso e volentieri anche indifferenti all’epica guerra che si sta combattendo.

Anche il protagonista e i personaggi che lo circondano subiscono la stessa sorte di dura messa in ridicolo: ci troviamo di fronte a un antieroe (un po’ come Anakin Skywalker), ma non capiamo cosa l’ha reso malvagio o se è effettivamente malvagio, perché la divisione tra le fazioni è solo pretestuosa; e, soprattutto, i nobili sentimenti che archetipicamente lo muovono, sono sostituiti dal più basso dei motori che è il sesso. Non c’è nessuna intenzionalità di governare l’universo (men che meno salvarlo), ma soltanto una feroce istintualità primitiva. Nonostante tutti questi elementi di corredo fantascientifici, le dinamiche di un cinema più realista vengono comunque usate (la moglie di Jony che fugge via con Rudy all’inizio del film) ed è in queste piccole contaminazioni che fa capolino il meglio del film. Quello che emerge, in conclusione, però non è che il classico e ormai anche anacronistico procedimento della parodia postmoderna, ovvero la diminuzione e messa in ridicolo di topoi (in questo caso della fantascienza epica), che non sembrano essere più adatti a rappresentare il reale. Ancora meno riuscita è la pretesa di sovvertire le regole del gioco, che risultano riflessioni morali già sentite negli stessi film di Star Wars, ma poi anche in moltissimi esempi di fantascienza (il sesso è spesso motore, per esempio, nelle opere letterarie di Gibson e l’abbandono di compartimenti stagni morali è uno dei temi centrali di praticamente tutte le opere di fantascienza e non solo). In questo recriminante affresco della fine dei valori e delle grandi battaglie, noi prendiamo il posto dell’indifferente madre di Rudy che guarda suo figlio giocare con una spada laser, senza porsi il problema di cosa questa sia.