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Lei mi parla ancora

2021
REGIA:
Pupi Avati
CAST:
Renato Pozzetto (Nino)
Stefania Sandrelli (Rina)
Isabella Ragonese (Rina da giovane)

Il nostro giudizio

Lei mi parla ancora è un film del 2021, diretto da Pupi Avati.

Il vulcanico Pupi Avati continua a esplorare i generi più disparati con il suo peculiare tocco, e con una disinvoltura che solo pochi autori possono permettersi. Dopo il recente Il signor Diavolo – un ottimo horror che nonostante i limiti di budget colpisce nel segno e fa paura – Avati torna al dramma con il commovente Lei mi parla ancora (2021), una pellicola che visti i tempi approda direttamente su Sky Cinema. Come è ormai noto per l’ampia pubblicità del film sui social, l’opera è liberamente tratta dall’omonimo romanzo di Giuseppe Sgarbi, detto Nino, padre di Vittorio ed Elisabetta: il quale, nel 2016 (a 93 anni), ha narrato la sua lunghissima storia d’amore con la moglie Rina, morta l’anno precedente. Pupi e Tommaso Avati ne hanno ricavato soggetto e sceneggiatura, che alterna di continuo passato e presente, in una rievocazione sentimentale e malinconica dal sapore squisitamente avatiano (impossibile non pensare a classici come Regalo di Natale e La via degli angeli). Ai nostri giorni, Nino (Renato Pozzetto) e Rina (Stefania Sandrelli) sono un’anziana coppia di coniugi che devono far fronte alla grave malattia della donna. Quando lei muore, il marito – incapace di elaborare il lutto – decide di mettere per iscritto le proprie memorie, e la figlia incarica il ghostwriter Amicangelo (Fabrizio Gifuni) di assisterlo nella stesura del libro. Dopo un periodo di iniziale diffidenza, fra i due si instaura un solido rapporto di amicizia, e Nino rievoca la sua storia d’amore con la moglie (che da giovane è interpretata da Isabella Ragonese). Stando a quanto si dice sul web, abbiamo sfangato il rischio che come protagonista ci fosse l’improponibile Massimo Boldi, e il ruolo di Nino è andato al ben più nobile Renato Pozzetto.

Il quale si cimenta per la prima volta in un ruolo totalmente drammatico, ma che già in passato ha dato prova di essere a suo agio anche in opere agrodolci come Per amare Ofelia e Oh, Serafina!. Mentre il versatile Pupi Avati si è cimentato più volte in tristi love story – l’ultima, dieci anni fa con Una sconfinata giovinezza, dove il matrimonio è messo a dura prova dall’Alzheimer – e Lei mi parla ancora è uno dei suoi film più personali e struggenti, incentrato su una storia d’amore che va oltre la morte: non a caso, è citata una poesia di Cesare Pavese sul ricordo che rende immortali, filo conduttore di tutta la poetica avatiana. Come si diceva, la vicenda è un continuo passaggio – quasi un flusso di coscienza accompagnato dalle malinconiche musiche – che va dal presente al passato (indicativamente gli anni Cinquanta, ben rievocati), e in cui i personaggi di oggi si incontrano oniricamente anche con quelli di ieri. Il cuore della storia si svolge nella piccola e rurale località di Ro Ferrarese, e ancora una volta il paesaggio è un elemento cardine nella narrazione, quasi un coprotagonista silenzioso ed evocativo che attraversa impassibile lo scorrere del tempo, in opposizione alle frenetiche città dove vivono la figlia (Chiara Caselli) e lo scrittore. Pozzetto, da maschera comica, si trasfigura in un’interpretazione drammatica di forte impatto emotivo, così come la Sandrelli (nonostante compaia poco) e il resto del nutrito cast.

Numerose scene sono la trasposizione dei ricordi del protagonista, dunque la regia mette in risalto anche le performance di Nino e Rina da giovani: la bella Ragonese, rinomata attrice del nostro cinema, e il volto interessante di Lino Musella, che vediamo più volte nel bis contemporaneo. Negli anni della giovinezza sono ambientate sequenze evocative e sognanti come il cinema in piazza, il ballo, le soste in riva al Po, il matrimonio (che apre il film), il loro primo incontro, la difficile convivenza con i genitori di lui. È come se gli anni trascorsi fossero il tempo della felicità, resa visivamente da una fotografia solare: una felicità destinata a struggersi invece nella tristezza del quotidiano, che è il tempo del dolore e della perdita, immerso nella penombra e in quel mausoleo di opere d’arte che è la sua casa. I dialoghi sbriciolano il cuore: la lettera in cui Caterina promette che “dandosi reciproco e infinito amore, sarebbero stati immortali”, gli ultimi dialoghi di Pozzetto con la Sandrelli, i ricordi narrati, o ancora Nino che continua a parlare alla moglie scomparsa. Ampio spazio è dedicato anche alla figura dello scrittore – Gifuni è un altro bel volto del nostro cinema – che dal cinismo iniziale si apre man mano al sentimento, mentre è più ridotto il ruolo dell’immancabile Alessandro Haber nei panni del defunto cognato. Peccato solo che la narrazione sia concentrata in un’ora e mezza scarsa, perché una così vasta mole di ricordi si sarebbe potuta sviluppare meglio in tempi più lunghi.