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Le verità

2019
Titolo Originale:
La vérité
REGIA:
Hirokazu Koreeda
CAST:
Catherine Deneuve (Fabienne)
Juliette Binoche (Lumir)
Ethan Hawke (Hank)

Il nostro giudizio

Le verità è un film del 2019, diretto da Hirokazu Koreeda.

Dimenticatevi film come Un affare di famiglia, Nessuno lo sa o Still Walking: con Le verità, il maestro giapponese Hirokazu Kore-eda non solo gira il suo primo film in lingua francese, ma assorbe anche in pieno determinate caratteristiche di quella filmografia. Piuttosto, sembra di trovarci davanti a un film di François Ozon, con quel senso d’amarezza dietro il cinico umorismo che pervade perennemente il mood. E d’altronde, la protagonista della storia è l’icona francese per eccellenza, Catherine Deneuve, qui nei panni di una diva dalla lingua tagliente così assorbita dal proprio mestiere da aver ormai perso ogni capacità di relazionarsi con le persone che ha attorno, vivendo lei in un mondo in cui finzione e verità continuano a mescolarsi in nome dell’arte e del mito. Ha appena pubblicato un’autobiografia, e sua figlia, interpretata da Juliette Binoche, nota subito una marea di balle: tra le due donne – la Deneuve divoratrice e la Binoche succube e frustrata – c’è della palpabile tensione, e a essere evocato è anche un fantasma dal passato di entrambe,che si manifesta tramite una nuova attrice con cui la protagonista sta girando un film fantascientifico.

Di Kore-eda abbiamo sempre amato la semplicità cristallina, il mood rilassato eppur dolcissimo dei suoi migliori lavori. Le verità, invece, si rivela subito più complicato: il rapporto tra madre e figlia, la riflessione sul mestiere di attrice, il film nel film, il passato che riaffiora nel presente; tanti strati che l’autore mescola e confonde portando in scena un oggetto più “cerebrale” di quanto ci ha precedentemente abituati. A risentirne sono le emozioni: stavolta Kore-eda non commuove e non ferisce, ma piuttosto, regala diversi sinceri sorrisi grazie alle battute della Deneuve, insopportabile ma irresistibile, gigantescamente sprezzante solo come le più grandi dive sanno essere. Lei, chiaramente, è una gioia da vedere, e il film è stato palesemente costruito attorno al suo talento e al suo carisma: Kore-eda, insomma, non porta l’attrice nei propri territori, ma l’esatto contrario; è il cineasta che si adegua alla Deneuve, sacrificando la propria poetica per abbracciare un modo di fare cinema che da lui non ci aspettavamo.

Le verità è tutto qui: un buon film francese girato con armonia, non privo di evocazioni, probabilmente pure inattaccabile a livello formale per quanto sia tutto pulito e dosato con un buon ritmo. Ma a mancare è la poesia, e si avverte un senso di distacco, di freddezza. Molti fan vedranno quest’opera come una sorta di tradimento da parte di un autore di cui credevano ormai di aver capito tutto; noi tentiamo una via di mezzo: ad oggi Kore-eda ha sempre raccontato la famiglia giapponese, e nel corso della sua filmografia ha messo insieme una serie di tratti ricorrenti e uno stile che l’hanno poi reso l’unico degno erede di Ozu; qui, però, il nostro racconta una famiglia francese le cui complessità e nevrosi sono molto differenti da quelle nipponiche. Kore-eda cambia soggetto e quindi cambia stile: per sapere se si tratti di un caso unico o di un nuovo percorso per il cineasta, dovremo attendere i suoi prossimi progetti.