Featured Image

Le streghe son tornate

2013
Titolo Originale:
Las brujas de Zugarramurdi
REGIA:
Álex de la Iglesia
CAST:
Hugo Silva (José)
Mario Casas (Antonio)
Pepón Nieto (Calvo)

Il nostro giudizio

Le streghe son tornate è un film del 2013, diretto da Álex de la Iglesia.

Attraversiamo ere di fantasmi, licantropi, vampiri, camminiamo con i non morti in terre incognite, mai abbiamo vissuto la stagione della strega. E sì che la strega è l’archetipo a più alto potenziale, coacervo di etnografia, storia e credenze. Esistono invero casi isolati di celebrazione delle fattucchiere, anche di grande successo e chiara fama, manca tuttavia la fertile inseminazione dell’immaginario filmico delle masse. Perché la strega è Maligno, Artiglio, Vagina. Sacralità, Violenza, Erotismo: empia Trinità che sovverte e respinge. Álex de la Iglesia  in Le streghe son tornate (Las brujas de Zugarramurdi) porta alla luce una genia di streghe con denominazione geografica controllata: sì, perché le streghe appartengono fisicamente a un luogo e lo connotano, non è data strega senza il suo antro. A Zugarramurdi l’antro è una cueva reale, che visse e rivisse l’orrore dei roghi della Santa Inquisizione, ma prima ancora le cerimonie sacre di una società ancestrale. Le streghe, las brujas, sono tre, un nucleo di discendenza famigliare, nonna e madre (abiti witch old fashioned per loro) e nipote (abito punk sexy biker per lei).

Potere matriarcale riconosciuto in quella società basca, ci dice il regista, che ha resistito indenne all’oppressione del fallocentrismo monoteista e riesplode oggi in un conflitto di sessi. Le streghe basche divinano: raccolte intorno a un sozzo paiolo, preveggono il trionfo della Grande Madre Mitra attraverso il sacrificio del piccolo Eletto (figlio del rapinatore travestito da Cristo). Qui è Satana, quale maschio, il tramite da sor-montare, da ingravidare perché trionfi l’Ordine. Androfaghe impenitenti – gestiscono in incognito un’osteria dove si cucina carne umana – mangiano uomini come l’ape regina mangia il fuco, perché questo è naturale e sarà per sempre, amen. Le streghe di Zugarramurdi volano senza scopa, usando questa per cospargersi di unguenti allucinogeni nell’inguinaia e sotto le ditella, e spiegandoci che tale funzione d’uso, vera e documentata, è all’origine dell’icona della strega volante sulla ramazza. Non dimenticheremo facilmente Carolina Bang, la strega nipote, già vista e adorata in La ballata dell’odio e dell’amore (Balada triste de trompeta, 2010), che si offre ai nostri occhi lubrichi mentre si strofina, avida e maliziosa, sul nodoso bastone.

La violenza, in Le streghe son tornate, esorbita con il consueto marchio di fabbrica del regista, un grand guignol di dita amputate e offerte come appetizers, orecchie mozzate, pelle consumata dal fuoco o imputridita dall’umido, bambini sezionati o infornati. Gore sì, ma parossistico e comico assai, che a vedere questo film siamo tutti muertos de risa. Citare Tarantino, Rodriguez e Del Toro è banale, sono nomi che peraltro hanno certamente in comune con il folle Álex l’attitudine iconoclasta/entusiasta. La realtà è che la principale influenza di De la Iglesia è de la Iglesia. Il sabba di Zugarramurdi inizia come un rave, un’adunata oceanica di streghe nella cueva quante nemmeno ai raduni con Giovanni Paolo II. Arrivano da tutte le parti, dalle città e dalle campagne, da Ponente e da Levante, un Quarto Stato al femminile che vuole assistere all’Epifania del demonio. Scordatevi il caprone caracollante di El dìa de la bestia, qui c’è un diavolone gigantesco, incredibilmente transgender, tette e pisello enormi, che procrea per ingestione ed evacuazione. L’epilogo vero è però in un teatro, dove le streghe desublimate e i maschietti devirilizzati assisteranno a un sanguinolento numero di illusionismo da avanspettacolo: una bimba viene fatta a pezzi nella scatola e poi ricomposta dall’Eletto, e noi crediamo a quel che vediamo, perché la magia, la stregoneria, è “…quoddam ubique, quoddam semper, quoddam ab omnibus creditum est”.