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Le boucher, la star e l’orpheline

1975
Titolo Originale:
Le boucher des arts
REGIA:
Jérôme Savary
CAST:
Gérard Croce
Delphine Seyrig
Valérie Kling

Il nostro giudizio

Le boucher, la star e l’orpheline è un film del 1975, diretto da Jérôme Savary

Jérôme Savary dirige, sceneggiato dal patafisico Roland Topor, Le boucher, la star e l’orpheline quel che a tutt’oggi rimane un oggetto misteriosissimo…Sconosciuto in Italia, dove non venne mai distribuito, nonostante diversi giornali ne avessero parlato con abbondanza di notizie e di fotografie – ad esempio Playmen del marzo 1974, che è la fonte dalla quale abbiamo attinto gran parte delle informazioni che riportiamo. Ma sconosciuto anche all’estero, visto che non ne risultano edizioni di sorta, da nessuna parte, su nessun supporto. Un frammento è di recente apparso in Rete, ma più di questo nulla. Noto anche col titolo di lavorazione Le boucher des arts e come Eulalie quitte les champs, prodotto e girato in Francia nel 1974 da Savary, con l’ausilio di Roland Topor – il disegnatore-scrittore surrealista, fondatore del movimento Patafisico insieme a Jodorowski e Arrabal – e armato di un impressionate cast che andava da Delphine Seyring a Christopher Lee (nel ruolo di se stesso), da Micheline Presle allo stesso Roland Topor, fino a Patrizia Novarini alias Rosa Fumetto.

Le boucher, la star e l’orpheline è la storia di un povero macellaio (Gerard Croce) che vorrebbe a tutti i costi affrancarsi dalla sua professione per abbracciare il mondo del cinema. Prima viene coinvolto nella fallimentare produzione di un western, poi si macchia di un delitto per impadronirsi del denaro di un collega necessario al suo film, quindi, braccato dalla polizia, perde la moglie e si ritrova sul lastrico, deriso e sbeffeggiato da tutti. L’incontro, però, con un’attrice italiana impegnata (la Presle) motiva “le boucher” a continuare nel cinema, realizzando un film politico sulla condizione dei suoi simili, cioè i macellai. Dove scorrerà anche del sangue vero.

Finirà che il poveretto viene arrestato dalla polizia proprio mentre sta iniziando la lavorazione di un musical politico. Morale: nessuno può diventare altro da ciò che è, soprattutto un macellaio… Il linguaggio di questa favola trova una geniale mediazione tra Hara Kiri e La grande abbuffata, ossia tra il surrealismo grottesco e il “realismo fisiologico” del film di Ferreri, in obbedienza al quale molte sono le congiunture “estreme” portate sulla scena da Savary: a cominciare dalla zoofilia e continuando attraverso tutto lo scibile restante di perversioni, deviazioni, ossessioni. Un po’ – forse – come se si fosse cercato cercato di adattare per lo schermo i disegni di Topor che si vedono all’inizio di Viva la muerte di Arrabal. Ma con un sarcastico sorriso a fior di labbra.