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L’assoluto naturale

1969
Titolo Originale:
L’assoluto naturale
REGIA:
Mauro Bolognini
CAST:
Laurence Harvey (Lui)
Sylva Koscina (Lei)
Isa Miranda (Madre)

Il nostro giudizio

L’assoluto naturale è un film del 1969, diretto da Mauro Bolognini.

Un titolo indimenticabile per il film più misterioso di Mauro Bolognini. Quasi impossibile da concepire al di fuori del suo anno di realizzazione. Oggi lo si potrebbe recuperare per l’eccessivo e un po’ rozzo intellettualismo, per il registro metaforico troppo sbilanciato nella dimostrazione a tesi di un’improbabile parabola sulla crisi dei rapporti di coppia. Siamo dalle parti di Metti una sera a cena di Patroni Griffi o La donna invisibile di Spinola, entrambi esempi di un cinema kitsch forse inconsapevole ma decisamente estenuante, che al momento del suo lancio nelle sale poteva spacciarsi per il massimo della moda più effimera. Ma Bolognini fa di più – o di peggio – e allestisce il suo teatrino su un piano infinitamente più astratto, più carico rispetto ai film appena citati, infilando una serie di dialoghi deliranti tra il Lui della situazione, un tormentato Laurence Harvey, poeta inglese in vacanza in Italia che sogna l’amore come sentimento assoluto, unione di corpo e spirito, e la Lei del caso, una bellissima Sylva Koscina attratta drasticamente e soltanto dal rapporto fisico, dall’amore carnale, che prende e dà quando lei lo decide.

Ne viene fuori un film impossibile, totalmente folle persino per un anno chiave e assurdo come il ‘69. Certo, a teatro, il testo di Goffredo Parise, scritto in seguito alla fine del suo rapporto con Maria Costanza Speroni – debutto al Metastasio di Prato in pieno ‘68 per la regia di Franco Enriquez, interpreti Valeria Moriconi e Renzo Montagnani – aveva tutte le virtù simboliche della scena per poter funzionare. Ma al cinema non basta fotografare una Livorno livida e patinata, infarcirla di oggettistica alto-borghese ultra-sleazy (occhiali da sole giganteschi, interni dal design pop-essenzialista) e farla attraversare da possenti macchine sportive per dare credibilità e spessore ai personaggi, i quali – come spesso accade nei film del periodo che scavano nel milieu alto-borghese – hanno l’aria annoiata di chi sembra stia vivendo un’eterna vacanza, senza mai porsi il problema del denaro da spendere né del lavoro che non viene mai nominato…

Lei, spavalda donna-mantide, anticipa tutto un clima femminista a venire, in modo forse ancor più radicale rispetto a un’altra pellicola targata ‘69 come Femina Ridens, dove pure troviamo una Dagmar Lassander profetica da questo punto di vista. Qui la Koscina appare da subito totalmente indipendente dall’uomo-oggetto, assolutamente naturale nel disinteresse verso le sue richieste da romanticismo… Lui, piuttosto, è il vero punto debole dell’Assoluto naturale, tanto che il finale sacrificale che lo attende non sconcerta più di tanto, sembrando quasi come inevitabile. Eppure, anche nel cerebralismo generale, non passano inosservati i centimetri di pelle generosamente offerti dalla Koscina, mai così nuda come in questo film; la scena in cui entra in piscina completamente senza veli all’epoca dovette creare un certo scalpore, e ancor oggi non si dimentica facilmente…