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L’assassino ha riservato nove poltrone

1974
Titolo Originale:
L’assassino ha riservato nove poltrone
REGIA:
Giuseppe Bennati
CAST:
Rosanna Schiaffino (Vivian)
Chris Avram (Patrick Davenant)
Eva Cemerys (Rebecca Davenant)

Il nostro giudizio

L’assassino ha riservato nove poltrone è un film del 1974, diretto da Giuseppe Bennati.

Splendido film, già oggetto di uno studio restitutivo a Giuseppe Bennati buonanima di quel che gli era dovuto, da parte dello spagnolo Ramon Freixas (sta in El giallo italiano). Da noi, invece, gli è andata male. Nocturno a parte, c’è il Mereghetti che è passibile di denuncia per falso in bilancio (visto che sintetizza: “risibile thrilleruccio”. Cazzo vuole dire?). Che queste note facciano da contrappeso e pure da contrappasso, allora. La trama. Un gruppo di aristocratici/borghesi finisce una serata visitando il teatro di proprietà del nobile Chris Avram: sono l’ex di Avram (Rosanna Schiaffino) che ora fa la squillo, e sta con Andrea Scotti; la sorella di Avram, Eva Czemerys, lesbica persa innamorata di Lucretia Love; la nuova ragazza di Avram, Janet Agren, che vuole i suoi soldi e se la intende di nascosto con Howard Ross, un pittore alcolista. I due figli di Avram, Paola Senatore e Gaetano Russo, incestuosi, lei in doppio grado perché vorrebbe farsi il papà, ricambiata. E un altro strano personaggio che è lì senza che nessuno sappia dire da dove viene e perché (Edoardo Filippone).

Finiscono nel teatro di Fabriano, ma una volta dentro non riescono più a uscire, stile L’angelo sterminatore. E mentre sul palco voci fantasma recitano il Re Lear, una specie di Fantasma dell’Opera comincia a ucciderli, nei modi più brutali – il peggio tocca alla lesbicona, macellata nel pube e crocifissa. Ma non c’è argentismo, e il film punta altrove, nel fantastique, nel gotico, anche e soprattutto grazie alle scenografie di Mario Chiari, che trasformano l’interno del teatro in un non-luogo dall’atmosfera ferma, sospesa, arcana.

La sublimità, nel senso antico dell’upsos, la crea il tema portante della OST di Carlo Savina, senza la quale probabilmente non avremmo intonato il ditirambo. L’intro con i nove che a bordo delle macchine vanno verso l’inferno senza saperlo – ogni attore è inquadrato quando appare il nome – è senza prezzo. In censura prese il massimo divieto, dal momento che “il film presenta scene di violenza, di orrore, di raccapriccio, frammiste a scene di erotismo e di lesbismo e di incesto destinate a ferire la sensibilità dei minori degli anni 18”.