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L’apparenza delle cose

2021
Titolo Originale:
Things Heard & Seen
REGIA:
Shari Springer Berman, Robert Pulcini
CAST:
Amanda Seyfried (Catherine Claire)
James Norton (George Claire)
F. Murray Abraham (Floyd DeBeers)

Il nostro giudizio

L’apparenza delle cose è un film del 2021, diretto da Shari Springer Berman e Robert Pulcini.

Tutto si può dire dei film, tranne che siano corpi morti. Al contrario i nostri cari vecchi amici di schermo sono entità vive e pulsanti, capaci di mutare forma e sostanza in corso d’opera peggio della celeberrima Cosa carpenteriana. E infatti, nonostante almeno in parte proprio di morti e sepolti tenti di parlarci, L’apparenza delle cose appare viva, viscosa, malleabile e insidiosa tanto quanto le entità ectoplasmatiche che attendono ben acquattate negli angoli bui dei suoi fotogrammi. Un’opera nervosa, indecisa, sempre in bilico fra stuzzicante ghost story dal sapore goticheggiante e tesissimo dramma coniugale intriso dei dubbi e dei sospetti ereditati dal buon zio Hitch, la quale tuttavia non fa mistero di voler nutrire in particolare questa seconda componente per relegare la prima a puro specchietto per le allodole. Si perché, così come lo stesso titolo parrebbe suggerire, si tratta in fin dei conti di un’opera ingannevole, certamente superficiale e, in un certo qual modo, profondamente disonesta, interessata a rimanere per lo più prudentemente in superficie senza mai realmente indagare in profondità almeno una delle numerose questioni tirate vigorosamente in ballo. Un prodotto apparente insomma, che tratta apparentemente di molte cose senza in verità prediligerne nessuna in particolare, tirando un colpo al cerchio e un colpo alla botte con la speranza di far felici un po’ tutti ma finendo inevitabilmente per scontentare tutti quanti.

Nonostante infatti l’ormai rodata dimestichezza nei trasbordi dalla carta allo schermo, la coppia di vita e di cinepresa formata da Shari Springer Berman e Robert Pulcini stavolta dimostra una certa sofferenza nel saper bilanciare i vari registri e le ottime intuizioni presenti nel romanzo All Things Case to Appear di Elizabeth Brundage, trasformando L’apparenza delle cose in uno strano oggetto filmico non ben identificato. Il teso rapporto di coppia che lega la creativa e spirituale Catherine (Amanda Seyfried) all’accademico e razionae George (James Norton) all’indomani del loro trasferimento in una piccola cittadella di campagna fatica a bucare lo schermo quanto dovrebbe, lasciandoci nel mezzo di un tira e molla coniugale che vede Lei, moglie e madre abnegata pesantemente fiaccata dai morsi della depressione, cozzare con l’egocentrismo e le manie di grandezza di un Lui sulle cui spalle grava un trascorso di pesanti ombre. Quando strani e inspiegabili eventi dal carattere sovrannaturale iniziano a prendere corpo all’interno della nuova magione, rischiando di dividere ancora di più due caratteri così diametralmente opposti, ecco che il tutto parrebbe finalmente iniziare a prendere una forma un po’ più definita, abbandonando gradualmente il terreno del thrilling in favore di un impianto decisamente più orrorifico. Ma si tratta solo dell’ennesima apparenza evocata dal titolo, ulteriore tassello sbeccato di un puzzle il cui l’appeal inizia a scemare già dopo il primo quarto d’ora, complice una debordante miscellanea di colpi di scena ampiamente telefonati e twist narrativi a tradimento che, mano a mano che i minuti scorrono, finiscono per rendere sempre più incredibile e mal assortita ogni singola riga di sceneggiatura e ogni minima trovata di regia.

Diversamente dall’anoressia nervosa non meglio approfondita che attanaglia la sua povera protagonista, L’apparenza delle cose pare affetta da una vorace bulimia, ingurgitando una quantità impressionante di idee e suggestioni senza mai davvero arrivare a digerirne compiutamente neanche mezze, nonostante le due ore a sua disposizione. Sarà forse  colpa di quell’infido morbo che ha devastato e che devasta tutt’ora gran parte degli adattamenti delle opere kinghiane, laddove la cieca volontà di trascinare di peso intere trovate e situazioni dalla carta dritte dritte sullo schermo spesse volte genera pastrocchi che, come in questo caso, rischiano di rasentare se non il ridicolo quanto meno gli insidiosi lidi del kitsch o, peggio ancora, del trash. Se infatti è già difficile di per sé credere nell’esistenza di una vita dopo la morte, nel momento in cui gli abitatori di questo Altrove, tornati a fare la loro immancabile visitina a una povera mogliettina abbandonata al suo destino da un egocentrico maritino dal passato tutt’altro che limpido, iniziano a filosofeggiare in voce over, beh, capite anche voi quanto la beneamata sospensione dell’incredulità inizi ad essere pericolosamente minacciata. Ed è paradossalmente proprio questa componente spiritica e ultramondana così malamente orchestrata ad apparire l’elemento più debole di tutto questo baraccone, una pesante zavorra che finisce per inabissare un racconto che, se si fosse mantenuto aggrappato agli interrogativi evocati dalla figura del suo protagonista hitchcockiano, ne avrebbe certo guadagnato in credibilità. Ma qui tutto è apparenza e nulla è mai com’è o come dovrebbe essere, trascinandoci attraverso depressione, disturbi alimentari, feroci litigate a bordo lavello, sedute spiritiche e pruriginosi tradimenti che, così come un epilogo a dir poco pedestre, non fanno mistero di cavalcare una desolante e insidiosa approssimazione.