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L’angelo del crimine

2018
Titolo Originale:
El ángel
REGIA:
Luis Ortega
CAST:
Lorenzo Ferro (Carlos)
Chino Darín (Ramón)
Daniel Fanego (José)

Il nostro giudizio

L’angelo del crimine è un film del 2018, diretto da Luis Ortega.

L’attacco di un mitico pezzo di Vittorio Feltri, allora inviato del Corriere della Sera, di ritorno dalla Calabria per un servizio sul rapimento Casella, recitava più o meno così: «La cosa più bella di San Luca d’Aspromonte è quando te ne vai». Mi sembrerebbe esagerato scrivere, analogamente, a proposito de L’angelo del crimine (El ángel) «la cosa migliore del film è quando finisce», ma ammetto di esserne stato tentato. In realtà, la cosa migliore del film è la musica: dal jazz minimalista di Moondog al tostissimo rock dell’italo-argentino Billy Bond, a una milonga del grande Astor Piazzolla, alla House of rising sun, cult degli Animals, nella versione ispanica di Palito Ortega, fino a Gigliola Cinquetti che canta, in spagnolo, Non ho l’età. Un vero minestrone musicale che, però, funziona egregiamente e sostiene il film (e lo spettatore) per le due ore di durata, con funzione antisoporifera. Per il resto, al di là di alcune scelte stilistiche interessanti di carattere scenografico e coloristico, dell’utilizzo sapiente e accurato di oggetti datati e arredi oggi vagamente patetici e un po’ kitsch, il film risulta lento e la professionalità del protagonista ventunenne Lorenzo Ferro (che interpreta il criminale-bambino Carlos Robledo Puch) non basta a sollevarlo da un ossessivo autocompiacimento estetizzante da parte del regista Luis Ortega che finisce per annoiare e allontanare lo spettatore dalle imprese del giovanissimo delinquente, puntando più sulla sua corporalità da puttino effemminato dai riccioli biondastri che non sul suo background familiare e sociale e ignorando (salvo mostare una polizia corrotta) la situazione dell’Argentina del 1971, anno in cui si svolgono le imprese, un Paese che usciva dal golpe del Generale Juan Carlos Onganía e di altri militari che lo seguirono.

Che il film si svolga a Buenos Aires finisce per essere assolutamente marginale. Osannato da buona parte della critica (ha vinto il premio Un Certain Regard a Cannes 2018) e premiato al box office in Argentina, L’angelo del crimine descrive «un protagonista – come scrive Luca Marchetti su Sentieri selvaggi – assurdo e reale allo stesso tempo. L’interpretazione sociopatica dell’esordiente Lorenzo Ferro, però, stanca presto e costringe il personaggio solo alla superficie» (il vero Carlitos, cui Ortega si ispira, è in galera da ben 46 anni, un vero record nella storia della carcerazione). Il delicato biondino rispetta i genitori cui nasconde i comportamenti criminali, a casa suona il piano e si bea delle cotolette con purè che gli prepara la mamma; ruba, inizialmente da solo, nella prima villa che gli capita a tiro dove perde tempo  a ballare, con stile alla Juppy Du, al suono di El Extraño del Pelo Largo de La Joven Guardia, gruppo beat argentino  anni 70; poi comincia a delinquere più ferocemente insieme con il compagno di merende Ramon, belloccio molto macho (apparentemente) conosciuto all’istituto tecnico per ragazzi borderline che entrambi frequentano; i due svaligiano gioiellerie, appartamenti dove Carlito non esita a freddare chi gli si trovi davanti, anche inutilmente, con una freddezza da bambino che crede si tratti di un videogioco.

Sfugge alle avances della madre  del suo complice che tenta di sedurlo («in realtà mi piace tuo marito», le dice, ovvero un criminale tossico che finisce per sfruttare la destrezza acrobatica di Carlitos nell’introdursi ovunque); e, guidando come un pazzo, fa un frontale che uccide Ramon (che nel frattempo aveva deciso di fare pompini a un potente gay pur di introdursi pateticamente nel mondo dello spettacolo); poi sostituisce Ramon con un altro navigato delinquente che finirà ucciso e deturpato con una fiamma ossidrica proprio da Carlito che, troppo sicuro di sé, verrà finalmente catturato; fuggirà dal carcere; e, infine, tradito dalla mamma, verrà riacciuffato da un manipolo di poliziotti in tenuta da battaglia. Bilancio? Undici omicidi (ma nel film se ne vedono solo sei). E oggi che fa il vero Carlito? Ha 66 anni, niente più treccine bionde, è rapato a zero, alcuni giornali argentini dicono che è innamorato e vive con il suo compagno nella prigione della Sierra Chica. Altri media sostengono che, dopo aver trascorso molti più anni della sua vita dentro che fuori, ora abbia paura di uscire e affrontare un mondo che non conosce, come Totò in Dov’è la liberta? di Rossellini. Quarantasei anni di carcere farebbero uscire di testa chiunque.