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Land of Dreams

2021
REGIA:
Shirin Neshat, Shoja Azari
CAST:
Sheila Vand (Simin)
Matt Dillon (Alan)
Isabella Rossellini (Jane)

Il nostro giudizio

Land of Dreams è un film del 2021, diretto da Shoja Azari e Shirin Neshat.

Presentato a Venezia nella neonata sezione Orizzonti Extra, estensione della nota sezione Orizzonti della Biennale che vetrina film rappresentativi di nuove tendenze estetiche ed espressive del cinema mondiale, il nuovo film della coppia Shoja Azari-Shirin Neshat (quest’ultima già vincitrice del Leone D’Argento nel 2009 con Donne senza uomini), Land of Dreams incuriosisce per la collaborazione con il fu Jean-Claude Carriere, storico sceneggiatore di Luis Buñuel nei suoi capolavori più assoluti (Il diario di una cameriera, Bella di giorno, Il fascino discreto della borghesia… tra gli altri!) Il film narra del vagare di una giovane donna (Sheila Vand) attraverso un’onirica società americana di stampo orwelliano, che suggerisce sia un futuro prossimo che incontra Playtime, Fahrenheit 451 e Brazil, ma anche un universo molto parallelo che si dipana nelle fantasie immaginative dei personaggi (mi son chiesta più volte, durante la proiezione, se la diegesi fosse davvero da intendere statunitense, o semplicemente distopica). A mio avviso, infatti, il film non sfigurerebbe in una selezione di fantascienza e nel suo finale contributo al maestro del sogno, Carrier (morto a ridosso, nel Febbraio del 2021), si distingue ancora nella sua brillante analisi sociale lungimirante. Semin lavora presso il Dipartimento di Censimento americano, esteticamente concepito, dall’architettura, alle uniformi, ai dispositivi tecnologici, come una futuristica base di intellighentia marxista. La nostra deve raccogliere dati, informazioni demografiche e sogni (!). Le prime sequenze la vedono confrontarsi con una coppia di eccentrici americani (due fantastici Anna Gunn e Christopher McDonald) di animalier, parrucche e oro vestiti, i quali, da soli, potrebbero fare tutto il film.

Tormentata, nel frattempo, dalle visioni del padre morto, martire, durante la rivoluzione iraniana del 1978-79, essa sembra non digerire le intenzioni di uno Stato sempre più indirizzato a voler controllare anche l’inconscio di una nazione volutamente inconsapevole. Si diletta poi, nel privato, a reinterpretare in lingua farsi i sogni collezionati, con tanto di costumi, luci, trucco e set, per poi postarli con enorme successo su social arabi. La ragazza viene poi indirizzata dal suo capo reparto (ancora un’ottima Anna Gunn che in questa doppia interpretazione ricorda il migliore dei Lynch) allo svolgimento del censimento di una “colonia” iraniana di ex combattenti rivoluzionari, restii all’integrazione sociale, i quali, in maniera volutamente comica, a mio avviso, ancora si addestrano per un combattimento che non avverrà mai. Sheila Vand viene affiancata nella vicenda da due spalle maschili agli antipodi; il giovane poeta girovago Mark (William Moseley) – il quale si dichiara innamorato di lei a prima vista, nelle migliori tradizioni – e Alan Villin (uno strepitoso Matt Dillon), guardia del corpo redneck con tanto di stivali e cappello da cowboy, chopper scoppiettante e un cognome fin troppo rivelatore. I due, come due angeli custodi, la seguono come fossero la sua coscienza, affiancandola anche nella scoperta di un’identità statunitense e al ricordo di una iraniana, che la rendono in ogni caso un’outsider. Storia molto personale per la regista che ha vissuto gran parte della sua vita negli Stati Uniti, ma non in grado di definirsi integrata in nessuna delle sue opposte società culturali.

La seconda parte del film risulta, invece, abbastanza ripetitiva e scontata. Semin continua nel suo viaggio alla scoperta delle contraddizioni americane, incontrando personaggi e vivendo situazioni, per quanto contradditorie, tipiche di una società statunitense che ben conosciamo e che meglio, in passato, è stata descritta. Tra gli interpreti, una squillante e schiamazzante Isabella Rossellini, ripresa solo su schermo posto a capo tavolo, ad un pranzo domenicale di famiglia (forse causa il Covid, o volutamente non è chiaro). L’effetto di chiara citazione lynchiana funziona, dando al personaggio un’aura da freak metallico e drone mater familias sghignazzante. Land of Dreams si conclude con un sequenza di artisticità esageratamente ostentata, che ricorda agli spettatori che Azari e Neshat nascono come visual artists (vincendo, per altro, la Biennale nel 1999). La musica è di Michael Brook (Into the Wild, Brooklyn) e nel film compare anche la cantante Rebecca Comerford che firma una canzone originale. Nel complesso il prodotto diverte e funziona. Primo film in lingua inglese dei registi che affaincano alla protagonista Sheila Vand, (dalle interessanti connotazioni iraniane, pur essendo losangelina di nascita, già apprezzata in Argo), un cast riuscitissimo e una storia visionaria.