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L’Alligatore

2020
REGIA:
Daniele Vicari, Emanuele Scaringi
CAST:
Matteo Martari (Marco Buratti
alias l’Alligatore)
Thomas Trabacchi (Beniamino Rossini)

Il nostro giudizio

L’Alligatore è una serie tv del 2020, diretta di Daniele Vicari e Emanuele Scaringa.

Meno famosa e meno osannata (ingiustamente) rispetto ad altre che fanno il giro del mondo, la serie-tv crime/noir L’Alligatore è quanto di meglio possiamo trovare attualmente in Italia in questo genere, per la sua capacità di appassionare e al contempo di affrancarsi dagli stereotipi gomorriani, diventando un unicum. Desta ancora più stupore essendo un prodotto Rai, emittente che non è certo famosa per la qualità delle fiction televisive: trasmessa tra il novembre e il dicembre 2020 su Rai2 in otto puntate, è fruibile gratuitamente su RaiPlay. La serie prometteva scintille fin sulla carta, essendo basata sui romanzi di Massimo Carlotto (quello di Arrivederci amore, ciao) e realizzata con la supervisione artistica di Daniele Vicari (quello di Diaz), che ne ha anche diretto due episodi: e tutte le aspettative sono state mantenute. Carlotto è un personaggio molto discusso non solo della letteratura italiana, di cui è un navigato scrittore di romanzi noir conosciuto a livello internazionale, ma anche della cronaca nera, essendo stato protagonista di un caso giudiziario che lo ha visto prima incarcerato per omicidio, poi graziato e riabilitato. L’Alligatore è tratta da vari romanzi della saga omonima, ambientata nel Nord-Est italiano e con protagonista Marco Buratti, soprannominato “Alligatore”: un ex cantante di blues del gruppo Old Red Alligators (da cui il soprannome), che dopo aver scontato ingiustamente sette anni di carcere ha aperto un locale nella provincia padovana, ma soprattutto esercita senza licenza la professione di investigatore privato. La serie è divisa in quattro episodi, ognuno suddiviso in due puntate di 50/55 minuti ciascuna, per un totale dunque di otto puntate.

I primi tre episodi – La verità dell’Alligatore, Il corriere colombiano e Il maestro di nodi – sono tratti dagli omonimi romanzi, mentre quello conclusivo – Fine dei giochi – si rifà a un racconto inedito di Carlotto che prosegue però la narrazione del terzo. La regia di Daniele Vicari (che dirige il primo e l’ultimo episodio) e di Emanuele Scaringi (i due centrali) riesce infatti a mantenere in modo fluente la narrazione continua della saga, e al contempo a mettere in scena varie vicende in sé concluse. Tutto ha inizio quando Marco Buratti (Matteo Martari) assiste con l’amico Max, sempre impegnato a documentare ogni sorta di malefatte, all’omicidio di un uomo per mano del losco e potente affarista Tristano Castelli (Fausto Maria Sciarappa). Rintracciato tramite la targa dell’auto, Buratti si rifiuta di fare il nome dell’amico, e per questo motivo viene incastrato con la droga dal corrotto questore Marangoni, che lo fa incarcerare. Durante la prigionia, dove resiste in silenzio alle torture senza tradire Max, diventa una sorta di paciere per risolvere le controversie fra detenuti: una volta uscito, apre un locale di musica blues in riva al Brenta, ma soprattutto sfrutta le sue conoscenze nella malavita e nella polizia per svolgere una serie di indagini al limite della legalità. Al suo fianco, c’è il contrabbandiere Beniamino Rossini (Thomas Trabacchi), conosciuto in carcere, e l’ex fidanzata Greta (Valeria Solarino). Di volta in volta, ingaggiato da persone in difficoltà, si trova a indagare negli ambienti più torbidi della provincia: un omicidio che copre una loggia criminale, un traffico di droga che coinvolge una malavitosa colombiana, un giro di sadomaso e snuff-movie, la mafia albanese che commercia in prostitute.

Sullo sfondo, spesso coinvolto in prima persona, c’è il crudele Castelli, vera nemesi dell’Alligatore, che traffica in edilizia abusiva e smaltimento di rifiuti tossici, ma anche – tramite il suo braccio destro Giorgio Pellegrini – in droga e prostituzione. Ne L’Alligatore c’è tutto un mondo sommerso di criminalità e corruzione, sotto l’apparente quiete e rispettabilità della provincia veneta, che nasconde un marciume di incredibile portata: e proprio questo è il quid della serie, poiché è facile parlare di malavita in metropoli come Napoli o Roma, molto più difficile è invece farlo nella pianura padana. Eppure lo specialista Carlotto, che co-sceneggia la serie, e la regia di Vicari e Scaringi, ci riescono a meraviglia, ritraendo un universo narrativo composto da personaggi borderline: protagonisti al confine della legge, e un vasto milieu criminale fatto di malavitosi in guanti bianchi, sgherri e delinquenti di ogni tipo che agiscono poco distanti da dove scorre placido il fiume, e dove l’Alligatore cerca invano di stare tranquillo insieme al suo blues e al suo calvados. La suspense narrativa, la detection e l’indagine psicologica dei protagonisti procedono di pari passo come nella migliore tradizione noir, grazie anche a interpreti magari non molto famosi ma coi volti giusti; e c’è anche spazio per alcune scene d’azione ben coreografate, come la lunga sparatoria conclusiva, dove si lasciano molti interrogativi aperti che fanno sperare in una futura nuova serie. A differenza per esempio di Gomorra, dove si sentiva molto il passaggio di regia da Sollima agli altri, qua la serie è più fluida, e sembra diretta da un’unica mano – Vicari gira sempre in modo solidissimo, e l’allievo Scaringi ha imparato la lezione, dirigendo sotto la sua supervisione artistica. Anche l’estetica è molto curata e dalla forte impronta cinematografica: la fotografia, il montaggio e le musiche fanno de L’Alligatore un vero e proprio film a puntate.