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La stanza

2021
Titolo Originale:
La stanza
REGIA:
Stefano Lodovichi
CAST:
Stella (Camilla Filippi)
Guido Caprino (Giulio)
Edoardo Pesce (Sandro)

Il nostro giudizio

La stanza è un film del 2021, diretto da Stefano Lodovichi.

Eppur si muove! Con esasperante lentezza e indicibile affanno pare proprio che il solitamente piatto elettroencefalogramma dell’italico cinema di genere abbia finalmente iniziato a dare qualche provvidenziale segno di vita. Niente a che vedere con gli eroici fasti di un tempo, sia chiaro. Tuttavia grazie a nuove coraggiose leve come Misischia, Liguori, De Feo e Lavagna pare che la tanto attesa luce in fondo al tunnel incominci a intravedersi con una certa chiarezza. Ed è proprio Stefano Lodovichi uno dei più interessanti e promettenti apripista di questo tanto atteso Rinascimento tricolore. Uno che, dopo il discreto esordio di Aquadro in cui già si respirava una certa suggestiva inquietudine nel dipingere le insidie di una incontrollata deriva social, con In fondo al bosco si era dimostrato capace come pochi di imbastire una tesissima fiaba nera in gelida terra trentina degna dei migliori racconti dei fratelli Grimm. Un’opera tanto suggestiva quanto imperfetta, così come inevitabilmente imperfetta appare La stanza, intrigante kammerspiel dal forte impianto teatrale che, nel suo bulimico inanellare dubbi e domande nella mente di uno spettatore sempre sul filo della massima attenzione, rischia più volte di intaccare il proprio ipnotico fascino, riuscendo tuttavia a mantenersi coraggiosamente a testa alta e a tirare dritto verso un epilogo a dir poco sorprendente. E la sorpresa colpisce dritto al muso lo spettatore sin dai primi minuti, con una sconquassata Camilla Filippi in abito da sposa e volto sfatto dalle lacrime intenta a meditare il suicidio a bordo finestra. Una tesissima manciata di fotogrammi che, presi in sé e per sé, appaiono già come una piccola riuscitissima lezione di suspense filmica, esattamente come il buon Lodovichi aveva dimostrato nell’altrettanto impattante incipit della sua opera seconda.

Sul momento non è dato sapere per quale motivo la nostra protagonista mediti di congedarsi così presto dal mondo terreno, ma fin da subito intuiamo che alla base vi possano essere una delusione amorosa oppure il forzato isolamento all’interno del vasto e decadente albergo in marcato stile espressionista alla porta del quale, improvvisamente e provvidenzialmente, si ode bussare. Un misterioso figuro (Guido Caprino) sembra venuto a reclamare una stanza prenotata tramite un’inserzione online che dovrebbe essere ormai scaduta ma che invece, per qualche strano motivo, appare ancora attiva, con gran stupore della stessa padrona di casa. Dopo molte insistenze il tizio viene fatto accomodare, rivelando di sapere ben più di quello che un normale avventore dovrebbe conoscere circa il proprio locandiere. Dov’è tuo marito? Ma soprattutto, dov’è tuo figlio? Stranissime e inopportune domande che la donna si sente porre, dimostrando un sempre crescente disagio che viene ulteriormente alimentato dall’improvviso ritorno del proprio consorte (Edoardo Pesce), la cui venuta sarà per l’appunto la miccia che farà detonare il sorprendente e intricatissimo intreccio che pare avere in questo strano ménage à trois il proprio centro nevralgico. Non è bene dir troppo sul conto de La stanza, poiché, nonostante ai più scafati frequentatori di mind game movies bastino ben poche inquadrature per poter intuire l’aria che tira, la pellicola di Lodovichi ha dalla sua il gran pregio di mantenere sempre ben vivo e pulsante sullo schermo il punto di domanda, disseminando qua e là false piste che tuttavia vengono ben presto defenestrate da un twist narrativo a dir poco incredibile e decisamente audace.

Che la funzione della trama sia puramente simbolica appare come un dato di fatto ben prima del sopraggiungere dei titoli di coda, e solo così si può dar credito all’insistita volontà di dar pan per focaccia ai fedeli frequentatori di Dark e delle sue cervellotiche capriole fra i lidi dello spazio-tempo. Ciò nonostante, accantonando per un attimo il non sempre fluido tessuto narrativo, ciò che colpisce maggiormente è la tesissima e rarefatta atmosfera che l’attenta regia, assieme a una polverosa fotografia e soprattutto a uno score decisamente straniante si mostrano in grado di generare, trasformando lo spazio della rappresentazione in un non-luogo, un limbo fittizio che non può non far volgere l’occhio della mente alla sala d’aspetto post-mortem imbastita a suo tempo dal Tornatore di Una pura formalità e, ovviamente, al sempre citato oltre mondo domestico concepito dall’Amenábar di The Others. Che sia proprio questa la chiave di lettura dell’intera vicenda? Forse sì o forse no. Ciò che appare certo è che Lodovichi e il suo team, coadiuvati da un terzetto di attori straordinariamente affiatati e alienati al punto giusto, ce la mettono davvero tutta per prolungare il senso di spaesamento, riuscendo per gran parte del tempo a mantenerci sapientemente in punta di sedia così come di sguardo. Ma si sa, a tirar troppo la corda, quando quest’ultima si spezza, il contraccolpo che se ne ricava appare ancor più pesante e doloroso, trasformando il tanto atteso colpo di scena rivelatore in un ingranaggio non perfettamente incastonato all’interno della macchina del racconto, per il resto ben oliata e avviata sui giusti binari.