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La Reliquia

2020
Titolo Originale:
La Reliquia
REGIA:
Paolo Martini
CAST:
Marcello Prayer (Marcello)
Aura Ghezzi (Anna)
Giobbe Covatta (Maciaro)

Il nostro giudizio

La Reliquia è un cortometraggio del 2020, diretto da Poalo Martini.

Chi più e chi meno, tutti hanno i propri scheletri nell’armadio. Ma nel profondo Sud di Roccalunga la situazione appare decisamente molto particolare, poiché tutti, dal sindaco al dottorino passando per il buon parroco, paiono votati al gran nome e al piccolo bianco cranio di Pasquale Capuano. Quanto sacro o malefico sia tale voto non è affatto chiaro, ma una cosa è certa: in un modo o nell’altro si è tutti figli di Pasquale. È infatti alla sua scheletrica reliquia che ci si deve affidare per ottenere la Grazia, sia essa un buon lavoro, abbondanza di denaro o, più semplicemente, un parto fortunato. E guai a chi osi sgarrare o ribellarsi alla tradizione, perché, come il detto insegna, così come Pasquale da, così Pasquale può anche togliere, senza sé e senza ma, grazie alla complicità di quegli oscuri e secolari Poteri Forti che vogliono mantenere invariato lo status quo anche a costo di qualche atto decisamente poco cristiano. Uno scenario da incubo insomma, degno delle blasfeme e ancestrali tresche dell’esoterica comunità del Dagon lovecraftiano che il talentoso Paolo Martini riesce mirabilmente a fotografare nel livido e suggestivo bianco e nero che da forma ai disturbanti venti minuti de La Reliquia, interessantissima rielaborazione del folk partenopeo dove gli oscuri miti popolari del basso stivale costituiscono il terreno fertile per una tagliente sferzata all’abbruttimento sociale di eri come di oggi, al servilismo di un paese che, sia con la lettera maiuscola che con quella minuscola, è disposto letteralmente a vendere la propria anima al Diavolo pur di agguantare il proprio tornaconto. Chi siano poi realmente questi satanassi poco importa, e ancor meno interessa se abitino all’Inferno oppure su questa nostra stessa terra.

È appunto con il pretesto del genere che Martini – reduce dall’ottima esperienza dell’ombroso Anja-Real Love Girl – decide di muovere guerra al marcio che cova sornione sotto all’italico tappeto, presentandoci con La Reliquia un brulicante microcosmo cittadino che, seppur geograficamente opposto all’arcaico veneto avatiano de Il signor Diavolo, ne replica appieno le dinamiche di dipendenza da un’oscura e opprimente tradizione di riti in cui il confine fra sacro e profano si è ormai perso nella notte dei tempi. Una comunità dichiaratamente omertosa che, non fosse per qualche cellulare, parrebbe tranquillamente lo stesso covo di rurali superstizioni pre conciliari de Il demonio di Brunello Rondi, dove, tra una tombola in allegria e i preparativi per un imminente matrimonio, la superstizione consuma pian piano la fiammella dell’esistenza di un paese che da ormai troppo tempo ha rivolto le proprie preghiere verso un altro idolo diverso da quello inchiodato sulla croce. Ed è contro questo muro di viscide credenze che il povero Mimmo (Marcello Prayer) si trova costretto a combattere dopo aver scoperto che la propria compagna Anna (Aura Ghezzi) ha deciso di svendere l’anima del proprio nascituro allo spirito di Pasquale Capuano in cambio di lavoro e fortuna, costringendo l’uomo a rubare la sacra reliquia e chiedere l’intervento del Maciaro (Giobbe Covatta), stregone contadino in grado forse di sciogliere, con rituali e incantamenti, l’esoterico patto. Ma i potenti del circondario mal sopportano ogni tentavo di ribellione, impiegando ogni arma a propria disposizione, umana e non, per far si che un nuovo “figlio” di Pasquale possa venire al mondo con tutti i sacri e malevoli crismi del caso.

Ma in fin dei conti, chi è realmente Pasquale Capuano? Un santo bambino? Un demone sotto mentite spoglie? Oppure semplicemente la metafora del sempreverde potere mafioso a cui tutti sono costretti a votarsi per vedere salva la pelle? Poco importa se sacro o profano, naturale o sovrannaturale, benigno o maligno tale idolo sia, poiché, come Iain Softley ci insegna con The Skeleton Key, è il solo fatto di credere in qualcosa che rende quel qualcosa reale e potenzialmente pericoloso. Ed è appunto sul meccanismo dell’ambiguità che l’ottima sceneggiatura scritta a quattro mani da Giuseppe Calandriello e Paolo Martini gioca continuamente, confezionando un racconto cinico e brumoso in cui tutto viene per lo più suggerito e mai pienamente dichiarato. Un’ambiguità ampiamente rimarcata degli stessi interpreti che, a incominciare dal mellifluo Giacomo Rizzo – viscido e indecifrabile tanto quanto l’Amico di famiglia di sorrentiniana memoria –, assumono i connotati di vere e proprie inquietanti maschere grottesche, essi stessi reliquie al servizio di una favola nerissima al pari delle espressionistiche luminosità che la tratteggiano su ogni singolo fotogramma. E’ letteralmente un patto di sangue ad unire a doppio filo i destini di un’intera comunità al loro oscuro Protettore, un patto suggellato a suon di rituali e incantamenti che conservano in sé il reflusso di una cultura popolare nella quale, così come ne  Il legame di Domenico Emnaule De Feudis, trovano il proprio potere nella superstizione indotta più che dall’ignoranza dalla pura e semplice consuetudine. Concepito come prova generale del futuro lungometraggio Il paese dei mille cani attualmente in fase di sviluppo, La Reliquia, passato con gran fierezza al Fantafestival di Roma, rappresenta un distillato di orrore privo dei soliti ritriti ingredienti sensazionalistici tanto in voga nei prodotti di genere a largo richiamo.