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La ragazza che sapeva troppo

1963
Titolo Originale:
La ragazza che sapeva troppo
REGIA:
Mario Bava
CAST:
Letícia Román (Nora Davis)
John Saxon (dottor Marcello Bassi)
Valentina Cortese (Laura Craven-Torrani)

Il nostro giudizio

La ragazza che sapeva troppo è un film del 1963, diretto da Mario Bava.

Ovvio che si debba contestualizzare La ragazza che sapeva troppo. Ovvio, quindi, che nel film si vedano tutte le tracce di genere, soprattutto scenografico-visive, che avrebbero fatto la fortuna di Argento e del thriller all’italiana, di lì a una decina d’anni pronti per espandersi sugli schermi. Ovvio, altresì, che Mario Bava guardi anche a Hitchcock. E mi sembra pure ovvio che, se di forza dell’opera si può parlare, essa riguardi esclusivamente l’apparato “di superficie”, che testimonia realmente di un genio delle luci e delle ombre. Bava ha sempre lavorato “a macchia d’olio” con le tonalità, e anche in La ragazza che sapeva troppo utilizza il bianco e nero (soprattutto quest’ultimo) in senso invasivo e colonizzatore.

E funziona proprio come mano lunga che terrorizza, che rende una città e dei luoghi puro immaginario. Le sequenze in Piazza di Spagna, nella villa della Cortese, nell’edificio abbandonato in cui la protagonista è attirata nottetempo, sono punti cardinali del giallo, del thriller e magari dell’horror, prima che di una mappatura di Roma. È così che Mario Bava ha anticipato tutto, ha visto lontano, ha codificato quello che c’era da codificare, ha gettato le fondamenta di ciò che sarebbe stato costruito. Mi sembra però ovvio, anche, che il resto della pellicola, al di là di una chiusa divertente e sbarazzina e magari perfino scorretta (il prete), valga pochino.

Ci si sono messi in 6 a scrivere la sceneggiatura (tre “ufficiali”, Ennio De Concini, Sergio Corbucci, Eliana De Sabata, e tre collaboratori, Mino Guerrini, Franco Prosperi e il regista), eppure se il film si guarda, è merito soltanto di Bava. Al quale, è probabile, interessa zero il meccanismo dell’intreccio o la teatralità di alcune interpretazioni (la Roman è la prova che la misoginia è un bene). Se poi ci si sofferma sulle parentesi comico-dementi, o su un paio di situazioni (quella iniziale all’aeroporto, tanto per fare un esempio), allora stiamo freschi. Ma va bene ugualmente, perché l’anno successivo Bava avrebbe fatto 6 donne per l’assassino. Ci siamo capiti.