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La persona peggiore del mondo

2021
Titolo Originale:
Verdens verste menneske
REGIA:
Joachim Trier
CAST:
Renate Reinsve (Julie)
Anders Danielsen Lie (Aksel)
Herbert Nordrum (Eivind)

Il nostro giudizio

La persona peggiore del mondo è un film del 2021 diretto da Joachim Trier.

Con due candidature agli Oscar e il riconoscimento ottenuto a Cannes per la migliore attrice protagonista, il film di Joachim Trier, quinto lungometraggio dell’autore, crea una certa quantità di aspettative in chi si appresta alla visione. Io, ad esempio, lasciatami persuadere da commenti quali “Commedia romantica dell’anno” o “Un’Amélie dei nostri tempi”, ho premuto play con la convinzione di giungere alla fine soddisfatta. Invece, al termine delle due ore, ero assolutamente confusa. Che la performance attoriale di Renate Reinsve sia più che buona non ci sono molti dubbi, ma sul resto mi permetto di avere numerose riserve. Partiamo dalla trama, divisa in dodici capitoli più un prologo e un epilogo: è la storia di Julie, una trentenne alla continua ricerca del proprio posto nel mondo, che fa della fuga il suo modus operandi. Inizia una relazione con un artista quarantenne di cui si innamora al punto da scegliere di andare a convivere. Quado sembra andare tutto per il meglio, qualcosa si incrina e le esigenze di uno non coincidono più con quelle dell’altro. Così lei sceglie di lasciare l’uomo e di cominciare una nuova storia d’amore con un ragazzo più simile a lei, ma da cui scoprirà di sentirsi poco compresa.

Il film cerca di affrontare anche una serie di tematiche al centro di vari dibattiti attuali tra cui il MeToo, la gravidanza o meglio la libertà di scegliere se vivere o meno tale esperienza nella propria vita, il ciclo mestruale vissuto come tabù, e il sesso orale come compito femminile a cui adempiere. Tutti questi argomenti vengono però solo accennati, inseriti in qualche battuta all’interno dei dialoghi e abbandonati come un dovere a cui si assolve tramite la sola citazione. L’idea, forse, è quella di creare un personaggio femminile indipendente, attuale e rivoluzionario accompagnato dall’incertezza e l’indefinitezza che costituisce una buona parte delle preoccupazioni della generazione dei millenial. Il risultato però è l’aver dato forma ad una giovane donna che incarna molti clichè sociali e che quindi sembra rappresentare la caricatura della figura femminile moderna. Che sia o meno voluto, il risultato è aver creato una distanza importante dal personaggio principale e, dunque, anche dai personaggi secondari. Tutto sembra costruito e volutamente portato alla parodia, al punto che anche alcune scene potenzialmente drammatiche non riescono a caricarsi di emotività. La voce narrante impersonale che segue le vicende di Julie non aiuta sicuramente a conferire una maggiore veridicità alle scene: talvolta infatti il voice over si sovrappone alle battute della protagonista, ripetendole e creando, oltre alla confusione, anche un effetto favolistico che pochi film si possono permettere (su Amelie Poulain ad esempio non stonava per nulla).

Una delle scene diventata più celebre del film è quella in cui la donna, giunta alla conclusione di dover lasciare il suo fidanzato, preme un interruttore immaginario che ferma il tempo e le consente dunque di correre dalla persona di cui si è innamorata e confidarglielo. Probabilmente è solo questione di gusto personale, ma quel tipo di espediente stilistico in un film già votato alla lentezza e all’introspezione o comunque al tentativo di giungere a quest’ultima, ha solo reso ulteriormente macchinosa il punto di svolta della storia. In conclusione, non mi sento di unirmi all’entusiasmo diffuso di chi è riuscito a vedere in questo lungometraggio un buon risultato o a chi ha gridato ad un personaggio femminile degno di nota. La sensazione di aver visto un film mancante di concretezza e di verità.