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La notte dei dannati

1971
Titolo Originale:
La notte dei dannati
REGIA:
Filippo Walter Ratti
CAST:
Pierre Brice (Jean Duprey)
Patrizia Viotti (Danielle Duprey)
Angela De Leo (Rita Lernod)

Il nostro giudizio

La notte dei dannati è un film del 1971, diretto da Filippo Walter Ratti.

Gotico flamboyant, “fiammeggiante”. È l’ultima fase dello stile archiettonico, quella in cui “si perde in gran parte l’antica semplicità e razionalità – dice la Treccani – moltiplicando artificiosamente le difficoltà. La decorazione diventa addirittura sfarzosa, ma più rigida e meccanica”. A ben vedere vale anche per il gotico cinematografico: la sua propaggine negli anni Settanta è come se si incendiasse di colori, forme, e suoni, ma è fuoco, luce – per così dire – che maschera il poco o il nulla. La notte dei dannati sembra un film in sedicesimo. Tutto dà, in esso, l’impressione di essere piccolo, miniaturizzato, sottile. Dipenderà anche dalla suggestione fisica delle interpreti, Patrizia Viotti e Angela De Leo, che sembrano così mignon, tanto compite, in punta di forchetta; e persino quando vanno a letto insieme a fare cose di una certa, non discreta, porcaggine, l’incrocchio solletica il nervo ottico ma non fa passare messaggi altrove. Faccettine, occhiettini, manine, senini. Aggiungici l’estetica dei Seventies, con il trucco bistrato e quelle cotonature incredibili della De Leo, che vista poi in Roma di Fellini, puttanona da bordello, emerge con una fisicità lupigna che nel film del vecchio Walter Ratti è lontana dal suggerire. Stiamo smarrendo il tema gotico? No, perché se parliamo del flamboyant, parliamo della decorazione, che sono anche e soprattutto il pelo e i suoi derivati.

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La De Leo è bifida, nella vicenda scritta da Aldo Marcovecchio: si chiama Rita Lernod, ed è vedova di Guillaume de Saint Lambert, che poco prima di morire aveva chiamato al suo castello il vecchio amico Jean Duprey (Pierre Brice, semi-invisibile) e la consorte Danielle (la Viotti), giusto in tempo per dargli una ametista che è collegata alla sua fine. Rita Lernod è, sotto i veli neri e le gramaglie di sposa inconsolabile, Tarin Drole anagrammato, cioè naso deforme, leggi una strega vecchia e brutta come il peccato che è tornata sulla Terra per vendicarsi dell’ultimo discendente dei de Saint Lambert che un tempo l’avevano arrostita viva. Il castello dove avviene il tutto è interessante, perché, come il resto del film, si bilancia tra degli opposti, metamorfico al pari di Tarin Drole. Qualche scorcio è restituivo di uno squallore freddo, stantio, polveroso, che fa venire in mente gli ambienti nullificati di Il sesso della strega, ma poi nelle stanze è un tripudio di ricchi rossi, carminii, vermigli: oggetti, quadri, broccati, velluti; e suggestioni ignee a dir poco bizzarre – una ripresa da dentro un caminetto con fiamme fotomontate sulle due donne impegnate  a ricamare. C’è il capitolo sogni e visioni, a proposito (anche) del colore rosso. Danielle, di notte, comincia a fantasticare non solo che Rita la seduca ma anche di sataniche cerimonie presiedute dalla Lernod, assisa in trono tra fumi cremisi, mentre delle ragazze nude le sono porte in olocausto e lei le uccide graffiando loro i seni. La ritualistica saffo-sanguinaria è un momento ineludibile del gotico fiammeggiante.

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Ratti va detto che la sviluppa meglio di tutti gli altri, perlomeno un minimo di eco arcana ce l’ha, a differenza non si vuol dire di Polselli, ma anche dello stesso Plenilunio delle vergini, che è il signore dei flamboyant. Ratti pare passasse, di lì a pochi mesi, a completare – praticamente, a dirigerne il 90 % – Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea firmato da Freda, e se lo dicono le carte sarà vero. Certo è che se valessero come discriminante criteri interni, di stile, quest’ultimo e La notte dei dannati sono il sole e la luna. Fonti: un vecchio super 8, la vhs italiana edita nel 2001 dalla Cinemanetwork, e una videocassetta francese (La nuit des damnés), dei primi anni Ottanta, marchiata American vidéo e contenente un’edizione del film con eros più abbondante ed esplicito – ma non l’hard, che pure fu girato. La classica “french version”, con le sequenze orgiastiche dove le vittime  della strega – tra le quali una veterana dei film cochon dell’epoca, Anna Ardizzone – soggiaciono a palpate e leccate varie prima di morire; e la lunga scena lesbo dove Patrizia Viotti è oggetto (rigida come un pezzo di legno) delle attenzioni particolari della De Leo.