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La moglie di Tchaikovsky

2022
Titolo Originale:
Žena Čajkovskogo
REGIA:
Kirill Serebrennikov
CAST:
Alyona Mikhailova (Antonina Miljukova)
Odin Lund Biron (Piotr Ilich Tchaikovsky)
Miron Fyodorov (Nikolai Rubinstein)

Il nostro giudizio

La moglie di Tchaikovsky è un film del 2022, diretto da Kirill Serebrennikov

Laddove Ken Russell era riuscito a creare un accecante ed allucinatorio racconto di autodistruzione, Kirill Serebrennikov ha costruito un dramma funereo e decadente. A più di cinquant’anni da L’altra faccia dell’amore, dove l’attenzione era rivolta al mettere insieme i punti salienti della vita tormentata di Tchaikovsky, il film del regista russo decide di chiudersi nel più ristretto ma non ininfluente argomento del matrimonio tra il compositore e Antonina Miljukova. Una storia che ancora oggi è fonte di dibattito, tra teorie e prese di posizione, ed è anche motivo d’imbarazzo per il governo russo, restìo ad ammettere l’omosessualità di una delle sue figure artistiche di spicco. Ma, aldilà di tutte le traversie che Serebrennikov ha dovuto affrontare sia in patria che fuori da essa, La moglie di Tchaikovsky non è il film “politico” che alcuni si aspetteranno di vedere. Virgolettato da intendere nel senso dispregiativo del termine, ossia di prodotto politicante e/o superficialmente politicizzato.

Il film vuole raccontare Antonina, relegando il suo oggetto del desiderio a ciò che effettivamente era. Come spesso accade, si decide di partire dalla fine per poi riappacificarsi subito con l’ordine degli eventi. Qui, in una scena grottesca nella sua teatralità, la donna si reca alle esequie del marito e, una volta entrata, la salma di Tchaikovsky si rianima e scende faticosamente dal feretro solo per ribadirle di non averla mai amata. Sintesi ancor prima di una tesi e di un’antitesi, per quella che sarà una lunga traversata sull’ossessione di una donna nei confronti di un uomo che non voleva e non poteva corrisponderla. La Miljukova è messa in scena in modo magistrale da Alyona Mikhailova, una presenza che costantemente comunica il dramma del personaggio, passando da una trasognata allegria a una sconvolta e rabbiosa reazione ai fatti. È una prova fisica, la sua: sensuale e deleteria, disperatamente ostinata. L’abbandono, che darà il via alla reazione a catena interiore ed esteriore, è vissuto sulla fredda assenza del compositore che, va ancora chiarito, non sarà mai giudicata come ci si aspetterebbe. Il messaggio, per così dire, è molto più velato nel suo intendere la condizione femminile, ancorata alla controparte in un legame istituzionale che di fatto costituiva (e costituisce tuttora) l’identità stessa: il titolo, da questo punto di vista, è ancor di più una dichiarazione d’intenti.

Ma Serebrennikov, nel suo seguire il personaggio, ci mostra anche una Mosca dove imbellettati borghesi attraversano le strade fangose in cui stazionano gli ultimi della società, quasi a comunicare il facile cambiamento di status in una società che si regge sul potere e sulla fama. Ci mostra anche i sordidi interni di una classe bene che, sotto la maschera della rispettabilità, è convinta di comprare tutto con il denaro e la corruzione. Antonina, però, non è una sovvertitrice del sistema, non è un simbolo femminista, ma un’altra testimonianza di sottomissione ed idolatria. L’unica apparente reazione, passionale e cinica, si rivela presto indirizzata al sentimento di proprietà dell’uomo verso la donna e viceversa.  Non c’è dunque eroismo, in una storia dove la luce viene sempre meno e lo sporco emerge sempre più. L’illusione, di cui una mosca svolazzante era il vaticinio, lascia spazio al disfacimento del corpo e della mente. Un sogno, come l’ultimo che fa Antonina in un paesaggio innevato e di un bianco accecante, interrotto dalla potenza e prepotenza del Fato, sempre che di esso si possa parlare con certezza.