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La meccanica delle ombre

2016
Titolo Originale:
La mécanique de l’ombre
REGIA:
Thomas Kruithof
CAST:
François Cluzet (Duval)
Denis Podalydès (Clément)
Sami Bouajila (Labarthe)

Il nostro giudizio

La meccanica delle ombre è un film del 2016, diretto da Thomas Kruithof.

Il film franco-belga La meccanica delle ombre, diretto dal carneade Thomas Kruithof, al suo esordio nella regia di un lungometraggio, è capace di mettere in scena un meccanismo che rasenta la perfezione: il film, presentato al Torino Film Festival, si trova gratuito e legale sul sito Raiplay, quindi fatevi del bene e guardatelo. Si tratta di un film d’altri tempi, un thriller paranoico-complottista che vanta nobili ascendenze quali La conversazione o il più recente Le vite degli altri e che scava nel torbido dei servizi segreti un po’ come faceva Sydney Pollack ne I tre giorni del Condor: modelli che la regia è abbastanza spavalda e brillante da affrontare senza timore, vincendo la scommessa su tutti i fronti e aggiornando la paranoia psico-sociale ai nuovi tempi. Il regista scrive la storia insieme a Yann Gozlan, ambientandola nella Francia contemporanea. Protagonista è Duval (François Cluzet), un uomo qualunque, un impiegato afflitto da problemi di alcolismo: momentaneamente senza lavoro, accetta un impiego presso una misteriosa agenzia diretta da tale Clément; il suo compito è in apparenza semplice, e consiste nel trascrivere a macchina registrazioni di conversazioni telefoniche, mantenendo il massimo riserbo. Presto si trova però coinvolto in alcuni omicidi, legati alle intercettazioni, e finisce senza saperlo al centro di un intrigo politico: braccato dall’organizzazione e dai servizi segreti, deve compiere le mosse giuste per salvarsi, e non sarà semplice.

La meccanica delle ombre è un puzzle, come quello che il protagonista costruisce pazientemente per poi vederselo distrutto, un meccanismo spionistico, paranoico e cospirativo di matrice quasi hitchcockiana e polanskiana: e no, il paragone non è azzardato (se si mantengono le giuste proporzioni), perché Duval potrebbe essere benissimo l’erede dei protagonisti di Intrigo internazionale o Frantic. Cioè l’uomo comune che a sua insaputa si trova coinvolto in qualcosa di più grande di lui: niente di particolarmente nuovo, si potrebbe obiettare, ma è un’obiezione che si confuta facilmente con due motivazioni sostanziali. Primo: non conta solo la storia narrata, ma come la si narra, e Kruithof sfoggia una regia matura, secca e incisiva, supportata da un montaggio nervoso e da un’estetica volutamente asettica e geometrica. Un film dalla durata relativamente breve, 90 minuti titoli compresi, ma coi tempi dettati sempre nel modo giusto: un montaggio scattante, impreziosito da una sorta di feticismo per gli strumenti del mestiere ereditato da La conversazione, e che si alterna a eleganti piani-sequenza, fra uffici spogli, strade e piazze grigie. Secondo: il film non è un semplice spy-thriller, ma una sorta di parabola kafkiana sull’individuo stritolato dalla società e dai gangli del Potere. Perché kafkiano è il mondo che vediamo fin dall’incipit, quando incontriamo Duval (un bravissimo Cluzet, attore abbastanza noto in Francia) immerso nelle scartoffie, un protagonista solitario, grigio e compassato, oberato dal lavoro e afflitto dall’alcolismo.

E lo vedremo più volte in uffici e appartamenti spogli e opprimenti, dotato solo di un registratore e di una macchina da scrivere, e sempre più succube di un ingranaggio che ignora. Uno spazio significativo è concesso poi al gruppo di ascolto di cui l’uomo fa parte, e dove conosce una ragazza (Alba Rohrwacher) con cui instaura una tenera amicizia: è come se all’intrigo politico corrispondesse una paranoia mentale di Duval che lo induce a vedere nemici ovunque, quali i vicini dal gusto polanskiano o addirittura la donna. Dietro al mistero ci sono i servizi segreti, quelli ufficiali e quelli deviati, in un intricatissimo mosaico dove tutti spiano tutti: La meccanica delle ombre, come si diceva, rielabora il complottismo seventies in chiave kafkiana e moderna, ponendo al centro della vicenda terroristi, faccendieri e politici che si muovono nell’ombra per pilotare le elezioni presidenziali. Il nostro è un film asciutto, che non presenta scene madri o spettacolari, ma una suspense continua e serpeggiante grazie anche alle musiche funzionali e ai suoni diegetici, fino al geniale twist conclusivo nello stadio vuoto. Tutto funziona, compresi gli interpreti – pochi attori e nessuna star, ma ciascuno con il volto e il portamento giusti: eccellente il protagonista, ma anche i due inquietanti villain, Denis Podalydès e Simon Abkarian, già nemico di James Bond in Casino Royale, e il severo comandante dei servizi segreti, Sami Bouajila.