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La fiera delle illusioni

1947
Titolo Originale:
Nightmare Alley
REGIA:
Edmund Goulding
CAST:
Tyrone Power (Stanton Carlisle)
Coleen Gray (Molly)
Helen Walker (Lilith Ritter)

Il nostro giudizio

La fiera delle illusioni

Molti anni prima di Guillermo del Toro, fu il regista Edmund Goulding – nel pieno della Hollywood classica – a trasporre per il grande schermo il romanzo Nightmare Alley (1946) di William Lindsay Gresham, che nel 1947 divenne l’omonimo film distribuito in Italia col titolo La fiera delle illusioni, un raffinatissimo noir degno di un Howard Hawks o di un Billy Wilder. Sceneggiato da Jules Furthman (specialista del noir, da quelli di Josef von Sternberg a Il grande sonno di Hawks), è incentrato su Stanton Carlisle (Tyrone Power), un imbonitore che lavora in una fiera itinerante dove si esibiscono varie attrazioni, in particolare la sedicente sensitiva Zeena (Joan Blondell), che con l’aiuto del compagno alcolizzato svolge finti esperimenti di lettura del pensiero. Stanton è un uomo bello e affascinante, conteso dalle varie donne del circo, fra cui Molly (Coleen Gray), ma è anche una persona senza scrupoli: dopo aver carpito a Zeena i trucchi e i codici del mestiere, lascia la fiera insieme a Molly, con la quale nel frattempo si sposa, e inizia a svolgere insieme a lei gli esperimenti di spiritismo e lettura mentale in alcuni night-club. Per l’uomo si rivela fatale l’incontro con una psicologa senza scrupoli, Lilith Ritter (Helen Walker), che gli dà accesso ai fascicoli dei suoi pazienti per carpire verità nascoste e rendere più veritiere le sue esibizioni. Smascherato, finisce a sua volta in preda all’alcool e alle allucinazioni, e viene usato come fenomeno da baraccone in un circo. La fiera delle illusioni è in realtà un noir molto sui generis, che in parte si svolge in ambienti insoliti per il genere e ha una trama decisamente originale: non ci sono detective né misteri da scoprire, ma in compenso – come in ogni noir che si rispetti – cherchez la femme.

Perché, se è vero che il protagonista indiscusso è il bel tenebroso Tyrone Power, la star del film, è altrettanto vero che ciò che accade è quasi sempre determinato dalle donne: la misteriosa Zeena, affascinata dallo spiritismo e dai tarocchi (coi quali interpreta la vita e che si rivelano sempre forieri di sciagure), la dolce Molly, una figura prima complice e poi salvifica per Stanton, e la dark lady Lilith, probabilmente il personaggio più noir di tutto il film, colei che trascina il protagonista verso la rovina col suo cinismo e la sua crudeltà psicologica. Perché Nightmare Alley (il “vicolo degli incubi”, recita il titolo originale) è un raffinatissimo dramma, torbido e affascinante, incentrato innanzitutto sulle psicologie dei personaggi, così sfaccettati da luci e ombre come la resa grafica della splendida fotografia di Lee Garmes, degna di classici più famosi come La fiamma del peccato di Billy Wilder. La prima parte della storia è la più singolare, quella cioè dove la regia (sempre attenta e misurata), ci fa conoscere l’ambiente della fiera e gli strani personaggi che la abitano, tutti ammantati di un fascino morboso e inquietante: dall’affascinate ma spregiudicato protagonista alle donne (in particolare, colpisce lo charme oscuro della cartomante Zeena), dal mangiafuoco e il forzuto fino al relitto umano Pete, il compagno di Zeena, reso schiavo dell’alcool proprio per i tradimenti della donna, che ammette con un incredibile candore la sua continua infedeltà.

C’è spazio anche per un mostruoso freak – mai inquadrato – che conferisce a tutto l’ambiente un tocco del celebre Freaks di Tod Browning, e la cui presenza ha soprattutto la funzione di essere speculare a ciò che Stanton diventerà verso la fine. Perché la parabola del protagonista è un percorso che, dopo una fase di ascesa, conosce una caduta rovinosa che lo porta a sprofondare negli inferi di una vita miserabile, da cui solo l’intervento provvidenziale di Molly lo salverà – stando a quanto si legge, il lieto fine è stato imposto dalla 20th Century Fox (una prassi in voga all’epoca). Le illusioni a cui allude il titolo italiano (speculari agli incubi di quello originale) hanno una valenza molteplice, dalle illusioni sentimentali a quelle della vita stessa, fino alle illusioni che i finti spiritisti regalano al pubblico. Perché poi l’ambientazione cambia, dalla fiera ci si sposta nei night-club, ma la sostanza dei protagonisti – tutti, chi più chi meno, spregiudicati – rimane quella, accresciuta in cattiveria dalla singolare figura della dark lady psicologa, con la quale Stanton imbastisce truffe a danno dei malcapitati senza alcun rispetto per il dolore umano. Un meccanismo che tornerà più volte in vari thriller successivi, e che conosce lo zenit e al contempo il nadir con la messa in scena dell’apparizione di una defunta, il che darà il via alla rovina di Stanton, cinico e spregiudicato ma anche fragile: ricattato da Lilith e in preda ai sensi di colpa per aver causato involontariamente la morte di Pete, si trova presto in preda ad allucinazioni e schiavo dell’alcool. Una donna l’ha rovinato, e un’altra donna (Molly, che prima lo aveva abbandonato) lo salverà, ma è una salvezza che non cambia il carattere nerissimo del film e dei suoi personaggi.