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La città senza notte

2015
Titolo Originale:
La Città senza notte
REGIA:
Alessandra Pescetta
CAST:
Maya Murofushi
Monique Arnaud
Giovanni Calcagno

Il nostro giudizio

La città senza notte è un film del 2015, diretto da Alessandra Pescetta

Prosegue con successo il percorso nei festival nazionali e internazionali uno fra i più particolari e riusciti film italiani dello scorso anno, La città senza notte (UK/Italia, 2015) di Alessandra Pescetta: un’opera totale, sinestesia di immagini e suoni che sfugge a ogni genere o classificazione, puro cinema d’arte in cui la sperimentazione del linguaggio cinematografico descrive una complessa storia d’amore, una catastrofe ambientale e un confronto/scontro fra diverse culture, evitando quindi il rischio dell’esibizione artistica fine a se stessa. Il soggetto è liberamente tratto dal breve racconto La pace di chi ha sete e sta per bere di Francesca Scotto, di cui la regista scrive la sceneggiatura insieme al fedele collaboratore artistico Giovanni Calcagno. La vicenda è ambientata in una cittadina siciliana dove Salvatore (Calcagno) si ricongiunge con l’ex fidanzata giapponese Mariko (Maya Murofushi). Lui lavora in un’azienda che si occupa di ecologia, lei è appena tornata dal Giappone, mentalmente sconvolta dal disastro nucleare di Fukushima: il ricordo della catastrofe e la paura l’hanno segnata in maniera forse indelebile, e a niente servono le premure dell’uomo per riportarla alla normalità. Mariko rifiuta ogni contatto fisico, non mangia e di notte non riesce a dormire: durante un viaggio notturno la ragazza si appisola in auto e scopre così che questo è l’unico modo per adormire. Salvatore la ama a tal punto da rimanere sveglio ogni notte e portarla in giro in auto per conciliarle il sonno: Mariko riacquista forza e amore per la vita, scoprendo anche la passione per l’arte e la fotografia, mentre il compagno è distrutto dalle notti insonni e va incontro a un progressivo deperimento psico-fisico.

La città senza notte non è tanto un film “di trama”, quanto di immagini, un’immersione sensoriale completa in un mondo “altro”, un film che recupera una concezione primigenia del cinema inteso come pura arte visiva, grazie a un certosino lavoro sull’estetica (fotografia, montaggio, musiche), anche se abilmente coniugata con una solida narrazione. Ricchissimo di simboli, annienta ogni barriera tra significante e significato, fondendo l’una nell’altra la dimensione onirica e allucinata con la vicenda reale. A qualcuno potrebbe sembrare esagerato tirare in ballo Jodorowsky, ma il fatto che il maestro cileno sia una delle basi culturali di Alessandra Pescetta dimostra che c’è un legame tra il suo immaginario surrealista e La città senza notte. Parliamo soprattutto dei momenti in cui i pensieri, le paure, l’inconscio compaiono allo spettatore sotto forma di immagini. l’esperienza come regista di video-arte si vede negli squarci onirico-surrealisti di grande potenza visiva, sinestesie complesse che non possono lasciare indifferenti. Ricordiamo le due scene in cui Mariko viene sommersa al ralenti da getti d’acqua e da anguille in un non-luogo (da notare la continua fusione panica tra uomo ed elementi ambientali), le inquadrature con Calcagno e la Murofushi immersi nell’acqua (probabile metafora del liquido amniotico, visto che nella “realtà” l’uomo le sta accarezzando la pancia), la sequenza con le installazioni video-artistiche nel museo del cinema, oppure i personaggi grotteschi e quasi felliniani che compaiono sulle aride montagne nel viaggio finale verso un luogo indefinito. Sempre da Jodorowsky, la Pescetta assume il concetto di atto psicomagico, messo in pratica dalla protagonista per recuperare il contatto con la realtà e scacciare i suoi demoni interiori: ricordiamo la poderosa sequenza in cui Mariko utilizza pezzi di cibo (un pescespada, della verdura) per costruire un attrezzo che imbraccia con rabbia come fosse un mitra, ma anche la scena in cui dorme su una foto gigantesca di Salvatore.

In fondo, tutto ciò che vediamo sembra immerso in un sogno: la casa dei due protagonisti con ampie vetrate, gli uffici asettici dove lavora Salvatore, la misteriosa fabbrica in cui Mariko vede muoversi uomini con tuta decontaminante, le strade notturne con le sue luci, e l’ambientazione stessa è simbolica e astratta – non viene mai specificato in che città ci troviamo. La città senza notte si muove in continuazione fra l’astrazione e la realtà, che si fondono in un connubio inestricabile: la tragedia di Fukoshima viene descritta spesso sotto forma di crude metafore poi tradotte visivamente, per esempio il “drago in agonia” che viene ricreato con le fotografie della donna ritraenti il suo mostro artigianale (le creazioni artistiche sono realizzate dalla stessa Pescetta), oppure i “demoni sotto forma di onde” da cui Mariko viene simbolicamente sommersa. La Murofushi conferisce al suo personaggio un potenziale erotico straordinario, destinato però a non esplodere, e altrettanto dicasi per il virile Calcagno (lo ricordiamo in Buongiorno, notte di Marco Bellocchio e più di recente nel Racconto dei racconti di Matteo Garrone). Due interpretazioni intense e sublimi, espresse in egual modo dalla fisicità e dalla voce, in grado di restituire tutta la sofferenza, il vuoto interiore, l’amore e la rabbia che li affliggono; un impatto incredibile è offerto anche dalla voce calda e magnetica di Calcagno, in particolare quando fa da narratore esterno descrivendo le visioni oniriche.