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La cena delle spie

2022
Titolo Originale:
All the Old Knives
REGIA:
Janus Metz
CAST:
Chris Pine (Henry Pelham)
Thandie Newton (Celia Harrison)
Laurence Fishburne (Vick Wallinger)

Il nostro giudizio

La cena delle spie è un film del 2022 diretto da Janus Metz.

La transizione dalle sale ai dispositivi digitali sembra aver alterato il DNA stesso di quel cinema a basso budget e largo consumo cui La cena delle spie appartiene di diritto. Quello che pareva inizialmente un semplice nuovo step nella filiera distributiva, rivela ora le sue influenze concrete sul processo artistico: con la rinuncia al grande schermo, sono cambiati i modelli, le priorità, e infine le tecniche realizzative. Difficile stabilire se sia “nato prima l’uovo o la gallina” – se i gusti del grande pubblico abbiano preso autonomamente tale direzione, e i professionisti abbiano seguito, o se il proliferare dell’offerta televisiva abbia avuto un ruolo nell’appiattirne le abitudini ai suoi standard. Fatto sta che, ad oggi, l’intrattenimento low budget appare molto più legato a regole e direttive proprie della televisione e del video, che non del film “cinematografico”. Per la prima volta dalla nascita del medium, il cinema “basso” si scopre attento e competente sul piano della scrittura, creativo e addirittura originale nell’assemblaggio del plot, puntiglioso nel tracciare il charachter development dei suoi protagonisti. Un cambio di passo evidente rispetto al “vecchio” direct-to-video (per non dire il preistorico exploitation dei drive-in e degli spettacoli di mezzanotte), storicamente dipendente da formule, filoni, generi e sottogeneri.

Quest’ultimo sopperiva alla propria dichiarata assenza di originalità facendo dell’impatto visivo il proprio selling point: privo dei mezzi del mainstream, se ne distanziava “in peggio”, promettendo (e mantenendo) il doppio della velocità, della violenza, dell’erotismo. Negli anni dell’OTT, la regola è sovvertita: da sensazionalista e aggressivo che era, il cinema di consumo è oggi blando e sonnolento, mentre le vecchie “trame di carta velina” hanno lasciato il posto a bizantini script mutuati dalla serialità. L’eventuale grandimento di La cena delle spie sta tutto qui, nel ripalesarsi del dibattito più vecchio dell’audiovisivo: contenuto o forma? Storia o immagini? Per essere un prodotto destinato al consumo “privato” del peraltro non sempre esaltante catalogo Prime Video, La cena delle spie ha dunque pregi importanti: tanto nel cast, quanto in una composizione della suspense e dell’intreccio sopraffina, che guarda più a Le Carré e alla saga di Smiley piuttosto che allo spy-action alla Bourne (e non era scontato). Il testo che Olen Steinhauer ha adattato dal proprio romanzo affronta allora nientemeno che le responsabilità dell’America negli sviluppi recenti della Guerra al Terrore: non certo responsabilità materiali (per quella ci sono russi e musulmani, oggi tornati villain di rappresentanza come nei migliori/peggiori anni ’80), quanto in termini di presa di coscienza della propria fallibilità.

Prendendo i fatti del Teatro Dubrovka del 2002 come punto di partenza della propria cosmogonia del Terrore, il film riannoda i fili di due decenni di massacri attraverso il privato di chi è rimasto e chi ha mollato, chi sapeva e chi ha taciuto. Una cavalcata ambiziosa, che riscrive la storia contemporanea come una via crucis di stragi e segreti – raccontando il disgregarsi dell’impero geopolitico USA come trauma personale di una coppia di agenti CIA belli e dannati (Newton e Pine, impegnati nella cena del titolo italiano a trarre i bilanci del proprio operato). Una simile epica avrebbe logicamente bisogno di una resa espressiva importante a sostenerla: ed è qui che La cena delle spie tradisce tutti i difetti della propria matrice televisiva. Tanto nei valori produttivi (l’excursus storico ventennale non si vede né si sente, al netto delle orrende parrucche di Chris Pine), quanto in quelli banalmente artistici: l’approccio di Janus Metz al progetto è tarato nell’ottica di una fruizione al telefonino, in treno, con le cuffiette. Un cinema di primissimi piani, campo controcampo e facce che dialogano: questa è la dimensione del nuovo intrattenimento low budget, cui gli autori non possono che adeguarsi. Il luogo comune per cui “il cinema è cinema”, e il medium di destinazione solo un orpello intercambiabile, si rivela per quello che è – una vulgata autoaffermante, incapace di tener conto della centralità che i nuovi dispositivi hanno assunto nel processo produttivo. La modalità di fruizione prevista è oggi la variabile più importante nell’indirizzare l’intera realizzazione di un film – dalla composizione scenografica al sonoro, dai cromatismi alla scelta delle inquadrature. Il risultato sono prodotti come La cena delle spie, che avvince e appassiona, ma di cui è impossibile ricordare un solo fotogramma a racconto concluso. Ancor più che la televisione e la serialità, sembra essere allora il podcast il vero format preso a modello da queste produzioni: lavori da “seguire” distrattamente, in cuffia, facendo altro. Da vedere,