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La Befana vien di notte

2018
Titolo Originale:
La Befana vien di notte
REGIA:
Michele Soavi
CAST:
Paola Cortellesi (Paola / Befana)
Stefano Fresi (Mr. Johnny)
Fausto Maria Sciarappa (Giacomo)

Il nostro giudizio

La Befana vien di notte è un film del 2018, diretto da Michele Soavi

Andò con Tery Gilliam e imparò il lato bianco della fantasia. Lo ha detto lui, Michele Soavi. Ha detto che metà del suo emisfero, quello bagnato dalla chiarità e dall’ironia, è figlio della frequentazione cinematografica di Gilliam. Altrettanto quanto la parte nera, picea, è uscita dall’apprendistato alla corte di Dario Argento. Ovviamente toglie moltissimo a se stesso, al quale Soavi deve più che a chiunque altro, ma qui entreremmo in un discorso troppo complesso. L’evocazione delle due metà, in mezzo alle quali siede, come da proverbio, la virtù soaviana, dovrebbe essere fruttuosa nel giudicare questa Befana che viene di notte, ma senza le scarpe rotte e armata, piuttosto, di un naso lungo e bitorzoluto, che è quanto regala la metamorfosi quotidiana – da mezzanotte in punto – a Paola Cortellesi, maestrina elementare che perpetra questo stato versipelle ormai da secoli, da quando tentarono di abbrustolirla su un rogo nel 400 e una misteriosa dama (chi?) la salvò dalle fiamme e la consegnò all’eternità del compito di portare doni ai bambini buoni. Ma anche agli stronzi, se è vero come è vero che un bimbetto grasso e rosso, defraudato del regalo per una serie quantomeno assurda di circostanze, è cresciuto con l’unico scopo fisso in testa di trovare la Befana e di farle un mazzo tanto…

La Befana vien di notte ci fa piombare dentro un fantasy. Genere che in Italia nessuno ha mai fatto (o quasi, vedi i Fantaghirò), non perché, come dicevano tutti, in Italia mancavano i mezzi, ma semplicemente perché mancavano i registi capaci di fare film del genere. Soavi ne era e ne è capace, al di là dei mezzi che conteranno pure ma fino a un certo punto. Soavi espone i muscoli dall’inizio del film, per mostrarci cosa può concepire e fare, seguendo il volo notturno della Befana a cavallo della scopa in un paesino innevato: immagini soffici e potenti, che adesso è inutile si dettaglino. Ve le vedrete e capirete e volerete con esse. Lui è un dio a girare. E va bene: La Befana non ci sta dicendo niente di nuovo in questo senso. Ma procedendo nella storia, anzi nella storiella, anzi nella storiellina, si capisce che se abbiamo a che fare con un nume alla regia, abbiamo anche a che fare con una ignominia di scrittura che la metà, come suolsi proverbialmente dire, basterebbe. Anzi, già un terzo basterebbe per dirne ogni male possibile. L’autore della sceneggiatura è Nicola Guaglianone, quello che ha scritto Lo chiamavano Jeeg Robot e sembra che abbia scritto Arancia meccanica. Sia chiaro che non ha scritto Arancia meccanica… Genio, invece, colui che ha concepito il manifesto del film, quello in cui la Befana proietta sul muro l’ombra della scopa che sembra un membro. Purtroppo, niente del genere lo ritroviamo nei 98 minuti.

La Cortellesi vien rapita dal roscio ma un gruppo di suoi alunni, alcuni bianchi, una nera, un giallo, che tutto sanno e tutto hanno capito della maestra/Befana, si mette sulle tracce del grassone (Stefano Fresi), magnate di un impero di giocattoli, che ha portato la nemica nella sua fabbrica sul cucuzzolo della montagna e vuole farsi rivelare, prima di abbrustolirla, dove conservi le letterine coi desideri dei bimbi. I Goonies, dice Soavi, paraculescamente, per andare a salvare la Befana compiono un “viaggio iniziatico” sulle nevi, dove gli capita roba tipo doversi gettare giù da un dirupo in bici o ritrovarsi in una città fantasma piena di tombe e di lupi, dai quali li salva un cacciatore che ulula. Ulula, cazzo. E quando ci troviamo di fronte a questo, qualcosa dentro di noi, che amiamo Soavi e ne coltiviamo l’immagine di una semidivinità, si rompe, perché ci ulula (questo sì) che è sbagliato, che è male, che è idiota. C’è anche da aggiungere che l’erezione registica gli dura fino a tre quarti, poi si sgonfia e la fine è un orgasmino così. Roba che ci si aspetterebbe da un qualsiasi shooter da due lire. Non da lui. Immaginiamoci una trama di questo tipo, al netto di dialoghi idioti assolutamente irredimibili, ma fatta violenta, esasperando i caratteri e l’azione, anziché usare solo degli stitici. Soavi ci avrebbe portato in Paradiso. Così è un artista di Fabergé che cesella ninnoli di ottone per i mercatini di Natale. La Cortellesi fa la Cortellesi e tanto le era richiesto, quindi è incensurabile. Il sottotesto antibullista dove si usano parole tipo “caccasecca” è invece fuori da ogni grazia di dio. E i paesaggi, usati e fotografati così perfetti e laccati per soddisfare la Film Commission tirano ancora più fuori dai gangheri. Il colmo del tragico, comunque, sapete qual è? Che noi a Michele ci crediamo ancora…