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La banda del Gobbo

1977
Titolo Originale:
La banda del gobbo
REGIA:
Umberto Lenzi
CAST:
Tomas Milian (Vincenzo Marazzi detto il Gobbo / Sergio Marazzi detto Er Monnezza)
Pino Colizzi (Commissario Sarti)
Mario Piave (Commissario Valenzi)

Il nostro giudizio

La banda del Gobbo è un film del 1977, diretto da Umberto Lenzi.

La resurrezione del Gobbo, dopo Roma a mano armata, nella Banda del Gobbo  avviene – a livello esterno – all’insegna di un mutamento d’identità (non più di Vincenzo Moretto si tratta ma di Vincenzo Marazzi) e di una dislocazione della difformità fisica del personaggio (la gobba si sposta da sinistra a destra, senza che questo comporti alcunché di simbolico, e quindi di politico, anzi…). Il dato fondante, esplosivo, è però – come tutti sanno – un altro: la congiunzione del Gobbo e di Monnezza in una stessa storia, immaginati come fratelli gemelli; anche se l’uno, il Gobbo, si dice sia venuto alla luce dieci minuti prima dell’altro: un primato cronologico, che tale era stato nella loro nascita cinematografica e che viene riflesso dalla posizione di preminenza che il Gobbo possiede su Monnezza anche in questo film. Perché il predominio del bandito proletario, storto nel corpo ma drittissimo nello spirito, armato di una consapevolezza esistenziale e di uno spessore tragico abbacinanti, finisce di necessità per oscurare la figura del fratello, quel Monnezza che pure Milian delinea con formidabile empatia e che, nel mondo interiore dell’attore, sopravvisse fino alla fine con queste esatte caratteristiche: una schietta e tenera spontaneità, oscillante tra l’ingenuo e il “paraculo”.

Umberto Lenzi e le urgenze del poliziesco, d’altra parte, incalzano e se anche Tomas Milian ottiene per contratto (e con grande evidenza sui titoli di testa) carta bianca nei dialoghi delle sue due “creature”, l’impeto action della storia comporta che la ferina, terrestre energia del Gobbo (straordinaria la sequenza che lo assimila a un ratto, mentre striscia nel fango e nella merda delle fogne romane) dispieghi qui il massimo del suo potenziale. Marazzi Vincenzo, tornato dall’esilio in Corsica dove ha fatto l’argent, ribalta però – e arriviamo a un altro punto fondamentale – l’immagine del predecessore Vincenzo Moretto anche sul piano interiore, perché diventa, senza mezzi termini, un eroe positivo, il simbolo del riscatto di un umanità conculcata e avvilita. Si parteggia sempre e solo per lui nel film, sia quando deve regolare i conti con gli infami complici che lo hanno tradito, sia quando si sottrae alle maglie di una giustizia rappresentata – volutamente – non più da un commissario di ferro come Maurizio Merli ma da un anonimo, grigio e indifferenziato Pino Colizzi.

Il Gobbo triumphans è una delle costruzioni, fisiche e psicologiche, più raffinate e complesse di Tomas Milian, i cui scontri con Lenzi si questo set sono passati alla storia, soprattutto in rapporto alla celebre scena del night, con l’apologo mediato da Sora Rosa di Antonello Venditti e la purga ai ricchi snob, che, oltre a essere un pezzo di cinema meritevole di finire sui manuali, resta, ideologicament,e uno dei punti di massima distanza dal genere in cui viene a trovarsi inserita. Inabissatosi nelle acque del Tevere, Vincenzo Marazzi da allora scomparve: forse rapito dal dio-fiume nello stesso modo in cui i suoi antichi e mitici progenitori latini valicavano le barriere del tempo e della morte, venendo repentinamente sequestrati e assunti in cielo dai numi benigni.