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L’étrange couleur des larmes de ton corps

2013
Titolo Originale:
L'étrange couleur des larmes de ton corps
REGIA:
Hélène Cattet, Bruno Forzani
CAST:
Klaus Tange (Dan Kristensen)
ans De Munter (se stesso)

Il nostro giudizio

L’étrange couleur des larmes de ton corps è un film del 2013, diretto da Hélène Cattet, Bruno Forzani.

Un marito indaga, con l’aiuto di un investigatore, sulla scomparsa della moglie e sulle sue motivazioni. Con il progredire delle ricerche, il palazzo dove abita diventa un luogo oscuro e minaccioso…

Mentre vedevo L’étrange couleur des larmes de ton corps, a Locarno, andavo costruendo nella mia mente l’inizio di quella che mi pareva una bellissima recensione. Anzi, con un’ipallage: l’inizio bellissimo di una recensione. Poi, come spesso accade in quei frangenti, nel buio della sala basta un niente per perdere il capo del filo che si andava mentalmente dipanando. E l’ispirazione svanisce. Si resta smarriti nel labirinto. A compenso di quell’idea che è evaporata, mi verrebbe voglia di esordire con delle affermazioni enormi, macigni, sfere di piombo: che L’étrange couleur sia la somma finale del Cinema.

Di un certo tipo di Cinema. La contemplazione e il contemperamento di ogni passato e di ogni futuro possibili, del Cinema. Esasperazioni. Iperboli. D’altra parte, il film di Forzani e della Cattet non è opera tale da indurre a moderarsi. E se circolano imbecilli in grado di versare prose auliche e liriche su idiozie efebiche e asessuate di quart’ordine che impegnano quanto la pratica di un bidet, non si vede perché non si debba avere licenza di esagerazione su un essere, di carne e di sangue, come L’étrange couleur des larmes de ton corps, che non solo ci appaga dello sforzo che facciamo per essere all’altezza di vederlo prima e di scriverne poi, ma che ho il sospetto si nutra, anche, delle smisurate emozioni che può generare per diventare ancora più bello, più ricco, più forte, più grande. Un rapporto osmotico, interattivo e fagocitante, con ciò cui mi viene da pensare più come a un organismo, a un individuo vivente – un essere, appunto – che come a inerte materia filmica.

Erano semi già presenti e germoglianti in Amer, che ora fruttificano come i fagioli fatati della fiaba. Solo che Amer era un film esterno o meglio estroflesso, dimostrativo ed esemplificativo. In senso non accessorio, era anche un film solare, panico: sole, luce e vento. Questo nuovo capolavoro, invece, si ripiega all’interno, onora Ecate, il buio e un mondo ctonio, che sarebbe quello del thriller – se così è consentito banalizzare – entrandogli nelle midolla: sia al genere sia ai personaggi. E tutt’altro che in maniera traslata. Non si può raccontare di cosa parla L’étrange couleur des larmes de ton corps; non che non si voglia, è che proprio non è possibile raccontarlo. Tranne che comincia con un marito che torna da un viaggio scoprendo che sua moglie è scomparsa. E che poi interviene un investigatore per indagare sulla sparizione.

Il film è il palazzo dove tutto si svolge, dove tutto si svolgerà e dove tutto si è già svolto. E se fosse un’opera letteraria sarebbe, necessariamente e coerentemente, ermetismo spintissimo a guisa di L’Entrée ouverte au palais fermé du Roi di Ireneo Filalete. Per arrivare dove voglio, comunque, vi informo che a un certo punto c’è un assassino che minaccia una donna in una stanza: il duo belga traghetta a questo segmento di storia facendo cambiare passo e stile alla propria narrazione. Le immagini mutano. Mutano aspetto, velocità, movimento. L’organismo-film assume un altro respiro e costringe chi guarda ad adeguarsi al nuovo ritmo. Il tema scelto, la sfida, è rielaborare e trasmettere modificato il concetto dell’ubiquità e dell’onnipotenza dei killer dei gialli all’italiana. Cosa escogitano a quel punto, Forzani&Cattet? Dislocano l’assassino in un impossibile che più impossibile non si può e da lì gli fanno colpire la vittima. Un omicidio intrinseco. Mai visto niente del genere. La sciarada non va spiegata, lo vedrete. Neanche se Argento – e non l’Argento di adesso, quello di sempre – vivesse tredici vite, riuscirebbe a fare o immaginare qualcosa del genere. E qui mi taccio. Colto da afasia…