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Kiss of the Damned

2012
Titolo Originale:
Kiss of the Damned
REGIA:
Xan Cassavetes
CAST:
Joséphine de La Baume
Milo Ventimiglia
Roxane Mesquida

Il nostro giudizio

Kiss of the Damned è un film del 2012, diretto da Xan Cassavetes.

La vampira Djuna (Joséphine de La Baume), che conduce una tranquilla vita borghese in una villa con servitù al seguito, conosce per caso in una videoteca Paolo (Milo Ventimiglia), scrittore appena arrivato in città. È il classico colpo di fulmine. Dapprima Djuna resiste all’approccio, perché sa che il suo istinto potrebbe prendere il sopravvento e rivelarsi letale per il suo corteggiatore. L’intraprendenza di Paolo riesce però a superare il rifiuto di Djuna e l’uomo si lascia vampirizzare per scelta consapevole. È l’inizio di un’appassionata storia d’amore, che subisce una svolta drammatica e imprevista quando nel ménage s’insinua la sorella di Djuna, Mimi (Roxane Mesquida), una ragazza irrequieta che non si fa scrupolo di sedurre gli uomini per dissanguarli, infrangendo le regole che la comunità di vampiri, a cui le sorelle fanno capo, si è data nel tentativo di mantenere un basso profilo e convivere accanto agli umani… Kiss of the Damned è il primo lungometraggio scritto e diretto da Xan Cassavetes (all’anagrafe Alexandra Katherine Cassavetes), figlia del grande regista John e della straordinaria Gena Rowlands, due nomi la cui strabordante personalità ha rivoluzionato il cinema degli anni Settanta. Xan non ha grande esperienza (ha al suo attivo un corto, Dust, e un documentario, Z Channel: A Magnificent Obsession), ma di una cosa si può esser certi: come capita raramente per i figli d’arte, la piccola Cassavetes possiede del vero talento.

Con Kiss of the Damned si cimenta in una storia di vampiri nel segno del minimalismo ormai imperante (vampiri pressoché indistinguibili dagli esseri umani, che si nutrono preferibilmente di sangue sintetico), ma la tensione all’originalità e la sensibilità sono i suoi evidenti tratti distintivi. Nell’universo raccontato da KOTD i vampiri non sono più una razza reietta e braccata: appaiono come normali professionisti che appartengono all’alta società; un’élite i cui leader organizzano periodicamente dei sofisticati party per fare il punto della situazione, perfezionare le regole del vivere comune, scambiarsi informazioni e pettegolezzi, discettare d’arte e filosofia. Ci sono vampiri e c’è una storia d’amore – è vero – ma niente paura: siamo molto distanti da Twilight, non solo come target di riferimento dello spettatore, ma anche e soprattutto come approccio al tema: la Cassavetes porta nel DNA la tensione al cinema europeo che era del padre e rifugge le banalità da fast-food del mainstream statunitense. Djuna contro Mimi, dunque: il Vampiro Buono contro il Vampiro Cattivo, guardando ai simboli più immediati. Ma sollevando un poco lo sguardo s’intravedono aspetti allegorici: il modo di vivere dei vampiri è omologo a quello delle classi dominanti nella vita reale, e il fatto che il film parteggi per Djuna – che rappresenta con tutta evidenza l’ordine e la stabilità – porterebbe a concludere che la Cassavetes esprima un messaggio ideologico di stampo reazionario: la ribelle e iconoclasta Mimi è pericolosa e va domata. Tuttavia la storia, a nostro parere, va interpretata come un’apologia dell’evoluzione e dell’amore come fattore evolutivo che – quando è amore vero – abbatte le barriere di razza, mentalità e censo. In questo senso l’amoralità di Mimi, personaggio negativo senza appello, rappresenta il pericolo insito nell’assenza d’amore, più che nell’assenza di regole. Le regole di Djuna scaturiscono dallo sforzo di volontà del vampiro che punta a elevare il suo status altrimenti bestiale, piuttosto che dal moralismo di casta ratificato dalla tradizione della congrega.

Kiss of the Damned è un film diretto, con una solida struttura narrativa che cattura e coinvolge. La sceneggiatura vanta l’eleganza delle storie semplici: evita con successo il didascalismo e i luoghi comuni perché ogni elemento – anche quello già ampiamente codificato dal cinema del passato – è tematico, non estetico. Il movimento della macchina da presa di Tobias Datum è ipnotico, sensuale, avvolgente. La bellissima scena del primo rapporto sessuale tra Djuna e Paolo, filmata con la cura e l’attenzione che si dedica alle coreografie, è allo stesso tempo eccitante e spaventosa, e siamo sicuri che riuscirà a toccare nello spettatore corde molto intime. Il soundtrack originale di Steven Hufsteter è una delizia per gli amanti del passato: riprende ai limiti del plagio le sonorità dei thriller italiani degli anni Settanta e calza come un guanto sulle tante immagini di grande forza espressiva. Efficace quanto basta la prova dei tre protagonisti, ma per noi sarebbe un peccato d’omissione non segnalare il magnetismo della spigolosa e seducente Anna Mouglalis, che con la sua voce transgender, roca e nasale, tratteggia un personaggio secondario di grande carisma, e nelle fugaci sequenze a lei dedicate è capace di rubare la scena, con assoluta nonchalance, alle due sorelle in lotta.