Featured Image

Kill Boksoon

2023
REGIA:
Byun Sung-hyun
CAST:
Jeon Do-yeon (Gil Bok-soon)
Sol Kyung-gu (Cha Min-kyu)
Kim Si-a (Gil Jae-yeon)

Il nostro giudizio

Kill Boksoon è un film del 2023, diretto da Byun Sung-hyun.

“Ammazzare la gente è una passeggiata rispetto a tirare su un figlio”, questa frase sintetizzerebbe bene Kill Boksoon, crime-movie ricco d’azione e in bilico frenico tra l’iper-violenza slap-stick e i disagi emotivi da vita famigliare serializzata. E in effetti dobbiamo fare uno sforzo notevole, tipo un doppio salto mortale della ragione per mandar giù uno spunto così inverosimile. Può una donna killer spietata e fin qui storicamente è accertato che ve ne siano, ma può essere anche una mamma premurosa e in crisi con la figlia adolescente? I due mondi sono praticamente impossibili da porre nella stessa dimensione narrativa eppure in questo film l’orso e la ballerina danzano insieme fin quasi a divenire una trottola di peli e tutù. Chi è genitore e ha un figlio sopra i dodici anni sa che educarlo è talvolta laborioso e infido quanto un sentiero pieno trappole mortali. Nonostante tutte le buone intenzioni, le premure e l’impegno quotidiano, a un certo punto noi genitori perdiamo terreno alla svelta, fino a svegliarci con un gigantesco muro venuto su in una notte tra noi e loro, come nelle fiabe che gli leggevamo quando erano piccoli, lagnosi ma assai più persuasivi e contenibili. Gil Boksoon, interpretata alla grande dalla matura Jeon Do-yeon, svolge il suo mestiere con grande sicurezza, è una veterana insostituibile, autentica punta di coltello della KK, la più prestigiosa agenzia di sicari della Corea del Sud. Se non fosse per una serie di seccature che le procura la sorella del suo principale (Sol Kyung-gu), la direttrice Cha (Lee So-young aka Esom), la sua vita professionale potrebbe risultare una routine quasi noiosa, tra esecuzioni classiche, suicidi fasulli e duelli all’arma bianca con esponenti di spicco della Yakuza.

Dobbiamo credere che il mondo dei sicari sia equiparabile a una serie di società che organizzano eventi mondani. Tali sono definiti gli omicidi organizzati dalle agenzie e in fondo di questo si tratta. Il mondo mediatico in tali li trasforma appena ci mette sopra le grinfie sensazionalistiche. E come impiegata in un’agenzia di eventi Gil si spaccia per tale agli occhi della figlia. Purtroppo il sangue non è acqua e la piccola Gil Jae-yeong (Kim Si-a) si fa quasi espellere dalla scuola privata in cui è iscritta per aver accoltellato un compagno di classe particolarmente molesto. Il bello tra madre e figlia, come accade in qualsiasi rapporto genitore-figlio, è che Gill Boksoon riconosce nella pargola in crescita il boccio di tendenze, e difetti, che non è disposta a vedere in se stessa (e quindi ad accettare pure nella ragazzina) rifiutando un concetto palese solo da fuori: l’educazione che diamo ai nostri figli è deterninata dall’esempio che diamo loro e poco o nulla dalle parole che gli ripetiamo ossessivamente dalla mattina alla sera e che loro rifiutano bellamente di ascoltare. E c’è di più: il figlio sceglie quello che vuole dal menù di pregi e difetti che offre il genitore. Pregi e soprattutto difetti.

Di conseguenza è dura per una madre dire alla figlia di non fumare mentre tiene lei stessa una sigaretta in mano e soprattutto è inverosimile lagnarsi per le reticenze della piccola, visto che Gil ha una scissione schizoide della propria. Le cose iniziano a cambiare quando l’incoerenza materna viene meno e tra il dire e il fare della Boksoon, la verità tracima dalla finzione. Il messaggio del film è abbastanza semplice e sano, nonostante la montagna di morti ammazzati accatastati con noncuranza al termine delle due ore e oltre condotte a grandissimo ritmo: bisogna crescere anche noi genitori se vogliamo che i nostri figli facciano la stessa cosa. E si cresce dicendo la verità, affrontando le conseguenze delle proprie azioni e prendendosi la responsabilità delle scelte fatte, restando possibilmente fedeli a se stessi. Ovviamente questo comportamento è ideale nella sfera domestica, ma sul lavoro può condurci in situazioni davvero complicate e quasi impossibili da risolvere. Gill Boksoon in fondo non è tanto diversa dal John Matrix di Commando genderizzato alla Kill Bill, ma di buono ha il pregio non trascurabile di evitare la facile risoluzione narrativa della vendetta famigliare per legittimare lo sperpero di sangue. Di quello non se ne può davvero più.