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Jung­_E

2023
REGIA:
Yeon Sang-ho
CAST:
Kang Soo-yeon (Yun Seo-hyun)
Kim Hyun-joo (Yun Jung-yi/JUNG_E)
Ryu Kyung-soo (Kim Sang-Hoon)

Il nostro giudizio

Jung_E è un film del 2023, diretto da Yeon Sang-ho.

Cogito, ergo sum. Nonostante la lungimiranza del buon Cartesio, la fantascienza ha più volte dimostrato come non basti la coscienza di sé per veder riconosciuto il proprio status di individuo, soprattutto se al posto del cuore si hanno circuiti integrati e chilometri di cavi in fibra ottica. Fiumi di inchiostro e ancor più di celluloide sono infatti stati versati per raccontare di robot, androidi, cyborg e macchine più o meno pensati che, dopo aver visto scoccare dentro i propri cervelli positronici il sacro fuoco di Prometeo, si sono visti costretti a lottare coi bulloni e con i denti per arrogarsi il diritto di essere considerati qualcosa di più che semplici intelligenze artificiali. A prima vista non pare dunque una ricetta poi così fresca e fragrante quella cucinata da Yeon Sang-ho con questo suo ultimo Jung_E: un onesto e solo apparentemente derivativo action sci-fi confezionato con gran perizia e mestiere che, tuttavia, al di sotto della dura ed innegabile scorza di richiami ai tecno-redivivi modello Robocop e Universal Soldier – così come anche allo spinoso dilemma etico di una presunta “umanità meccanica” alla base dei vari Ex Machina, Morgan e The Machine – nasconde riflessioni morali ed esistenziali decisamente più profonde di quanto  ci si potrebbe aspettare dal freddo ed impersonale algoritmo di casa Netflix. Se quest’ultimo, infatti, si limita solitamente a ingozzare l’ignaro spettatore con offerte audiovisive usa e getta, lo scaltro e navigato Yeon Sang-ho, dopo aver magnificamente riscritto i connotati dell’horror zombesco grazie al suo cultissimo Train to Busan –  bissando alla stragrande con il geniale seguito Peninsula – sceglie stavolta con Jung­_E di rimaneggiare per benino alcune spinose questioni alla base della fantascienza più filosofica ed esistenzialista, richiamando in causa un caposaldo imprescindibile come Ghost in the Shell per porci davanti alla più complessa delle questioni: può un artificio possedere un’anima? E se sì, quanto sottile è il confine che lo separa dall’essere considerato un essere umano a tutti gli effetti?

Ci troviamo, infatti, in un distopico Ventiduesimo secolo nel quale un’umanità al collasso, sfuggita ad un pianeta già da tempo collassato, sembra trovare una precaria salvezza nei “rifugi”, colonie spaziali in orbita geostazionaria fra la Terra e la Luna, almeno fino a quando alcune di esse non scelgono di dichiarare la secessione e costituirsi nella nuova Repubblica di Adrian. I quarant’anni di guerra civile che seguono spingono dunque la società governativa Kronoid, sotto la guida di un misterioso Presidente (Lee Dong-Hee), a mettere mano ad un ambizioso quanto rischioso progetto: dar vita ad un nuovo plotone di robot da combattimento la cui intelligenza artificiale tattica si basa nientemeno che sulla scansione neurale del capitano Yung Jung-yi (Kim Hyun-joo), eroina di guerra indecorosamente caduta in battaglia diversi decenni addietro durante la sua ultima missione di ricognizione contro le forze ribelli. Servendosi di sofisticati cloni robotici equipaggiati con la coscienza residua dell’ufficiale deceduto, il giovane Direttore Kim Sang-hoo (Ryu Kyung-soo) e la Dottoressa Yun Seo-hyun (Kang Soo-yeon), responsabile del progetto di clonazione cerebrale nonché figlia della stessa Jung-yi, daranno vita ad una serie di simulazioni virtuali dell’ultimo inglorioso combattimento della fu intrepida soldatessa, cercando di ridurre di volta in volta il margine di fallimento per poter così creare il software perfetto con cui vincere una volta per tutte questa guerra. È davvero straordinario come, tolte le adrenaliniche coreografie di combattimento all’ultimo chip fra possenti robottoni che paiono tirate fuori di peso direttamente da robetta come Killerobots e Humandroid, un film come Jung_E nasconda in realtà una tematica di fondo molto più profonda e pragmatica, individuabile nella semplice idea di una morte tanto umana quanto apparentemente artificiale. Ne è un esempio lo straziante e reiterato decesso “programmato” di ciascun duplicato robotico della fu Jung-yi, perennemente sottoposto – così come il crononauta Jake Gyllenhaal di Source Code o i magici duplicati di Hugh Jackman nel The Prestige nolaniano – a uno straziante loop di vita e morte che sembra avere tutte le caratteristiche di un’infernale punizione dantesca.

Oppure, molto più semplicemente, a venire a galla è l’inevitabile decadimento organico che, per estrema ironia della cinematografica sorte, sembrava già destinato a colpire, nelle perfide vestigia di un tumore, tanto il fittizio personaggio di Seo-hyun quanto la sua stessa umana interprete: quella Kang Soo-yeon prematuramente congedatasi dallo schermo e dalla vita poco dopo la fine delle riprese. Vita e morte, dunque. Non più prerogative dei soli orga ma, così come dimostrato già ai tempi dei celebri Replicanti immaginati da Dick – e in seguito assorbiti dalla cinepresa di Ridley Scott per il suo immortale Blade Runner – consapevolezza dolorosamente acquisita anche da quei mecha che, cosci o meno della propria natura sintetica, dimostrano comunque di saper provare un dolore tanto fisico quanto inevitabilmente emotivo. Ed è proprio questo che Jung_E sembra volerci dire nella sua snella e ultra concertata oretta e mezza, grazie a sottesi e sfumature moralmente forse a volte un po’ troppo ambigui che, richiamando subliminalmente in sottotraccia alcune scottanti e attuali tematiche bioscientifiche (in primis le sperimentazioni su cellule staminali e il controverso diritto alla vita degli embrioni), sembrano riaccendere un delicato dibattito che la stessa fantascienza ha più volte metaforizzato. Inevitabile, dunque, confrontare l’opera di Sang-ho con il recente e per certi versi speculare The Clone del conterraneo Lee Yong-ju, in quanto entrambi, fra scienza, filosofia ed etica, trovano pure il tempo di gettare nella mischia qualche sana scazzottata al sapore di ruggine che di certo tutto può fare tranne che guastare. Soprattutto quando a darle di santa ragione non sono altro che simulacri che, messo momentaneamente da parte il beneamato cogitatio e caricato per bene il proprio pugnus, si preparano a gridare a grugno duro “ego sum!”. Vi piaccia oppure no.